Qual è il comportamento che il ‘vero signore’ deve tenere in pubblico? Willy Farnese nel suo Il vero Signore. Guida pratica di belle maniere (pubblicato nel 1947 da Longanesi) ci dà le giuste raccomandazioni. Per Farnese, pseudonimo di Giovani Ansaldo, il ‘vero Signore’ è colui che pone il sentimento al di sopra della ricchezza in riferimento alla dignità delle buone maniere.

Vediamo alcuni comportamenti che il vero signore deve tenere nelle relazioni in pubblico.

L’eleganza del camminare è essenziale. L’esempio da non seguire è dato dal camminare di Napoleone che non seppe mai avere un passo veramente da sovrano. Nel suo incedere non riusciva a dare una parvenza che superasse quella di un capo-colonna di un battaglione. Era un disastro. Come si dovrebbe camminare? Non è certamente il risultato di regole pratiche, applicabili su ricetta: è invece l’esito del carattere e del temperamento del signore. Semplificando, si può dire che, per camminare bene, è necessario essere sicuri di sé stessi, con una particolare spontaneità e di convinta semplicità.

Come e chi salutare? Si saluta il conoscente, l’amico, i parenti, i propri superiori, le personalità politiche e istituzionali. «La legittima aspettativa di essere salutati per primi può essere compatibile solo con l’età avanzata, accompagnata da meriti riconosciuti, tali da creare attorno ad un uomo il clima della venerazione». Negli altri casi il signore saluterà tutti i conoscenti con eleganza ed educazione. Il saluto di una bella signora, quando esiste una nuance di relazione, può essere accompagnato da un inchino, togliendosi il cappello. Il vero signore non ferma mai per strada una signora che conosce, salvo casi di necessità. Non oserà il signore fissare insistentemente lo sguardo su di una signora. Niente abbracci per strada; niente schicchi di baci o manate sulle spalle, neppure tra vecchi amici che si trovino dopo parecchio tempo. Il baciamano è l’atto estremo della raffinatezza, un gesto di omaggio alle signore da compiere con parsimonia e in modo elegante.

La gesticolazione contraddistingue gli italiani, sempre ad usarla impropriamente a mo’ di abbracci, di pacche, di voli pindarici, di gesti inconsulti. Gli italiani oltre a non tenere a freno la gestualità, eccedono in voce, urlano con parole grasse.  È un difetto molto rilevato dagli stranieri, in particolare dagli inglesi. Il culmine della gestualità gli italiani lo raggiungono in determinate circostanze in cui (s)parlano in maniera un po’ più spinta per mettere in risalto una curva o il sedere di una donna. Il comportamento da tenere è come quando si sta sull’attenti, ovviamente in misura più attenuata, con classe.

Le soste abituali sono delizia e croce degli italiani, sempre impazienti e di fretta. Una piccola sosta dal barbiere, dal giornalaio, dal salumiere, dal barista, alterano irrimediabilmente l’umore delle persone. «Le entrate furiose dal barbiere, la rapida enumerazione di coloro che aspettano, e le uscite indispettite, sono poco eleganti». Armarsi dunque di pazienza e di rispetto, il tempo dell’attesa non è poi mai infruttuoso, potrebbe accadere qualcosa di bello. 

Verso gli ecclesiastici il signore dovrà tenere un atteggiamento riguardoso. «Darà dell’eminenza ai cardinali, dell’eccellenza ai vescovi, del monsignore ai prelati; si rivolgerà ai parroci, dicendo loro ‘signor parroco’, ‘signor curato’, ‘signor abate’; si ricorderà che ai superiori dei conventi va dato del ‘reverendo padre’. […] E se un giorno egli si troverà nel caso di baciar l’anello di un prelato, potrà farlo senza preoccupazioni di apparire servile».

Per i parenti «Il signore terrà sempre a dimostrarsi attaccato agli ascendenti e agli agnati (discendenti in linea maschile) e ai cognati. Parteciperà volenteroso a quelle riunioni di famiglia, qualche volta un po’ pesanti, ma che sono la gloria dei vecchi, e che servono a dare ai giovanissimi l’immagine della famiglia antica. E sarà, il vero signore, attento verso quelli, coi quali è più difficile esserlo: coi parenti poveri. […] Il vero signore tratterà i parenti poveri con mano delicatissima».

Le frasi equivoche dell’amicizia: Tra amici non si fan complimenti; Diamoci del tu!; Non ha segreti per me oppure non ho segreti per lui; Non passa giorno che non ci vediamo; Tra amici è tutta una borsa; È un amico dei tempi difficili; Ora che è in alto si ricorderà degli amici; Siamo amici dai banchi di scuola;  Abbiamo fatto la guerra insieme; È un amico di casa. Analizziamole brevemente.

  1. Tra amici non si fan complimenti. Frase molto pericolosa. Con gli amici, invece, si devono fare i complimenti, altrimenti si rischia di cadere nella maleducazione. L’amico va rispettato. Non bisogna indugiare. «Gli amicizie più ferme sono quelle in cui, dopo anni e anni di consuetudine, gli amici, davanti a una porta, si ricordano dell’esistenza dell’altro, e fanno un cenno di riguardo».
  2. Diamoci del tu! «In Italia siamo troppo propensi a promuovere tutte le relazioni al rango di amicizie, e tutte le amicizie al rango di amicizie intime. La frase ‘Diamoci del tu!’ è un simbolo. L’Italia è un paese malato di troppo sole e di troppo ‘tu’. […] Il vero signore farà uno strettissimo uso del ‘tu’; in genere, lo riserverà alle amicizie di giovinezza. […] Il ‘lei’ è un’ottima naftalina per preservare la stoffa dell’amicizia dalle camole (tarme)».
  3. Non ha segreti per me oppure non ho segreti per lui. «Male. Molto male. Un’amicizia così non può durare con la proprietà comune di un segreto. Bisognerà anche che i due amici abbiano, ognuno, in sé e per sé, qualcosa di cui l’altro è ‘fuori’».
  4. Non passa giorno che non ci vediamo. «Quando un’amicizia è giunta al grado di consuetudine espressa da questa frase, è come quei cocomeri troppo maturi che, un colpo più di sole che prendano, si aprono e si spappolano. […] Il vero signore, quindi, quando vede una sua amicizia stringersi troppo, si affretterà, se gli preme la sua conservazione, a diradare gli incontri, a sganciarsi un tantino».
  5. Tra amici è tutta una borsaLa cassa comune in determinate circostanze (viaggi, pranzi, compere, etc) è fatta apposta per fare saltare le cerniere dell’amicizia. I conti vanno fatti con precisione e con addebito equo nei confronti degli amici, per evitare spiacevoli rancori.
  6. È un amico dei tempi difficiliSe l’amico è stato tale nei momenti difficili non è detto che lo sarà nei momenti facili. È più facile avere amici nei momenti difficili, poiché la sventura li commuove, mentre la prosperità li irrita, anche se in apparenza, sono lusingatori e adulatori.
  7. Ora che è in alto si ricorderà degli amici. È il contrario che avviene, per una legge fatale, assoluta, contro cui è vano fare proteste sentimentali.
  8. Siamo amici dai banchi di scuola. Non vuol dire niente. Frase inventata dai compilatori di manuali di ‘temi svolti’. Con i compagni di scuola si dovrà tenere un comportamento di rispetto, ma senza illusioni di troppo.
  9. Abbiamo fatto la guerra insiemeFrase per avviare una tumultuosa conversazione a base di ricordi; ma poca conclusiva. Avere fatto la guerra insieme non certifica comunque un’amicizia. La vita vissuta in guerra appartiene al passato e vive di ricordi e non di amicizia.
  10. È un amico di casaEspressione usata spesso, senza ponderarne tutta la portata. Generalmente fa riferimento ad una persona anziana che ha conquistato nel tempo la fiducia e la stima della famiglia e che sa più o meno tutto della storia di ognuno dei componenti.

L’amicizia è una cosa seria, come tante altre cose, a cui va data attenzione, calibrando gli approcci e i sentimenti. Gli eccessi rovinano tutto.

Con i vicini di casa si dovrà fare ogni sforzo per andare d’accordo, impedendo al cane di abbaiare spesso, ai figli di fare chiasso, di moderare il fragore e la frequenza della radio e della televisione. Si eviterà con essi il pettegolezzo. Si eviteranno conflitti di qualsivoglia natura. Si avrà comprensione e soprattutto disponibilità all’aiuto. 

«L’impostazione generale dei rapporti coi maestri dei figli è fondata sul gran principio del fronte unico tra genitori e insegnanti. […] Dei maestri dei propri figli si parlerà sempre con riguardo, in presenza dei ragazzi. […] Il vero signore convocato dal maestro non dovrà meravigliarsi mai di sentire che il figlio è un piccolo lazzarone».

«Il vero signore con il medico, una volta affidatosi a lui, gli accorderà una ragionevole fiducia, non consulterà un altro medico in segreto, tacendolo al primo. Con l’avvocato si è portati a trattare più calmi. La fiducia cieca, di chi è poco o punto informato delle difficoltà porta a delusioni. Anche dall’avvocato, quindi, il vero signore andrà foderato di scetticismo sulle capacità taumaturgiche dell’uomo cui si rivolge, e si attenderà da lui soltanto ciò che che se ne può ragionevolmente attendere» Questo eviterà, in caso di esito infausto, di prorompere in quelle invettive indecorose.

«L’Italia è il paese dei seccatori. I seccatori sono individui pesanti e noiosi nella conversazione, insistenti nel chiedere una determinata cosa. Insidiano la nostra vita. Il fenomeno del seccatore, in Italia, deriva dal carattere nazionale. Negli altri paesi, l’uomo potente, l’uomo che è in carica, l’uomo che può fare un favore ed è sollecitato e tirato con la giacca perché lo faccia, a un certo punto di divincola e nettamente risponde no. Da noi, ciò non può essere, per la nostra tendenza all’accomodamento e alla transazione. Da noi, chi è secco e brutale coi seccatori passa per superbo, o per crudele». Il vero signore non chiederà mai favori, farà ogni sforzo a realizzare i propri progetti con le forze che ha a disposizione.

«Con i mendicanti il vero signore sarà con loro umano sempre; e se è possibile cortese».

Buone maniere da manuale, scritte più di ottanta anni fa, che per alcuni versi reggono ancora e potrebbero essere riprese da coloro che le hanno smarrite.

27 agosto 2023

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