Oggi la parola che significato conserva? o magari è il caso di ammettere che termini, aggettivi, perifrasi varie e tutto quanto fa riferimento alle parole abbiano subìto mutamenti forti al punto da considerare che siamo giunti al naufragio della comunicazione? Dàvila scrisse: la parola non è stata data all’uomo per ingannare, ma per ingannarsi. Cioran invece era dell’idea che la scrittura è un esercizio nell’impossibile, come tutto ciò che si frappone fra silenzio e urlo, tra l’assenza di espressione e il suo limite assurdo. Bacone: Le parole fanno violenza all’intelletto e confondono ogni cosa e trascinano gli uomini a controversie e a finzioni innumerevoli e vane. Ancora Cioran: È più facile rinunciare al pane che al verbo. Disgraziatamente l’eloquio scivola nello sproloquio, nella letteratura. Flaubert: La parola è una specie di laminatoio che affina i sentimenti. Goethe: Il giorno del giudizio, quando le trombe squilleranno e non resterà traccia di vita terrena, saremo tenuti a render conto d’ogni parola che ci sia sfuggita invano. Kafka: Non sanno che cosa dicono e parlano soltanto per mettere in moto l’aria e parlando alzano il viso e seguono con lo sguardo le parole pronunciate. Montale:  Quest’è la nostra inquietudine: sospetto verso la parola che è al tempo stesso unica nostra realtà. Cerchiamo la sostanza di ciò che non ci convince: per questo esitiamo e soffriamo. 

Pirandello è lapidario: Lo sa quanto male ci facciamo per questo maledetto bisogno di parlare! Il parlare può far bene oppure male. Sta a noi decidere come comunicare e quali parole pronunciare sui costrutti del nostro pensiero. I vocabolari si arricchiscono di neologismi a soddisfare nuove esigenze di espressioni, ma rimane il pericolo della contaminazione delle parole assunte a verità di pensiero.  Ammettendo che, fra tutte le cose e tutte le rappresentazioni comunicative, le parole sono da noi scelte ora per convincere ora per raccomandare ora per ottenere, ma mai in concordanza con la verità. Il resto è come al solito finzione per non ammettere ciò che potrebbe essere diverso, diseguale, inopportuno, nocivo e altro. Ad esempio, quando diciamo Salentu sole, mare e jentu narriamo un luogo di mare con vento e perennemente soleggiato, non è così:  non raccontiamo nulla della campagna, della pianura, degli alberi, della gente, esprimiamo qualcosa che ci sta a cuore e che vogliamo diventi la caratterizzazione ufficiale. Abbiamo così dato una narrazione sbagliata, ingannevole, usando parole in accordo con il proprio sentire ma discostanti dalla realtà. Dire che il Salento è bellezza, poesia, pizzica, divertimento, piacere, luogo incantevole, puccia e pittule, operiamo un danno al luogo e alla gente, tracciando enfaticamente e iperbolicamente aspetti che invece andrebbero analizzati con distacco e onestà intellettuale.

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Viviamo in un contesto in cui siamo sottoposti all’influenza costante, all’influsso di processi mentali degli altri, in cui risulta difficile trovare autenticità del proprio sé.

Un tratto caratteristico sempre presente nella storia è rintracciabile nella necessità di dover distruggere le testimonianze del passato per preparare l’edificazione del nuovo. In questa dimensione di transitorietà e fuggevolezza da una parte, e immutabilità ed eternità dall’altra, si installa l’innovazione linguistica e la sperimentazione nelle modalità di rappresentazione, provocando un allontanamento da ogni possibile realtà a favore di un ripiegamento su una narrazione strumentale.

La narrazione discordante e fuorviante predomina in tutti i registri linguistici. Ne è una prova la guerra tra Russia e Ucraina, dove il mostro è Putin,  Zelensky invece è colui che subisce il male. L’informazione è volta tutta a favore dell’Ucraina: un soldato ucraino ucciso non è paragonabile a quello russo, l’uno è eroe, l’altro è carnefice. Dimentichiamo che entrambi sono vite umane e non possono essere valutate in un range di valore personalistico e per lo più giornalistico nell’ambito della guerra. Le parole della propaganda combattono un’altra guerra, forse più pericolosa di quella armata, convincendo e plagiando, distogliendo, raccogliendo soprattutto consensi a favore dell’Ucraina, seminando odio e incomprensioni verso la Russia, ma soprattutto non si guarda più alla storia, ai fatti, alle reali conseguenze di un conflitto.

(Illustrazione di Marco Melgrati)

Questo siamo noi nelle parole. Siamo ciò che vogliamo essere. Siamo noi la storia delle parole che utilizziamo ogni giorno, nonché la causa dei linguaggi informativi che generano menzogne. Il registro è quello generalizzato e volgarizzato che tende a delegittimare una parte politica o sociale per rafforzarne un’altra. A parole, non nei fatti, viene costruita l’eccellenza di qualcosa che appartiene a una parte, a un personaggio politico, a uno schieramento. Sì va bene insegnare la grammatica, però è opportuno  insegnare e imparare a narrare le cose e i fatti nel verso giusto, benedicendo le parole prima di pronunciarle, riconoscendone la sacralità che portano in sé per narrare ciò che soltanto è o è stato. Cavare l’eterno dal transitorio, dal contingente, dal cambiamento caotico per consentire un’osservazione da una nuova prospettiva che implichi una rottura, un modo nuovo di comunicare in linea con un’architettura di sintassi e di significati idonea a garantire una navigazione certa e meno spregiudicata nel luogo geografico delle parole.

 

17/10/2022

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