Il giovane principe in qualche modo era simpatico agli uccelli. Lo avevano visto spesso nei giardini ballare come un elfo dietro le foglie fluttuanti, o accovacciato all’incavo di un vecchio ulivo. Era invidiato da tutti anche dagli dei, almeno così credeva. Così tutti gli uccelli gli svolazzarono ripetutamente, sfiorandogli le guance con il becco, il principe arrossiva e meditava gloria. Gli fecero tutti una gran festa, anche le lucertole e i nani del paese di Speranza. Le lucertole erano assai filosofiche, quando non avevano niente da fare se ne stavano immobili su una pietra calda a meditare. Accadde però che i fiori si seccarono della vanità del principe e con urgenza chiamarono il giardiniere per cambiare aiuole a difesa della loro dignità. Già, dignità, che il principe non aveva, dedito a banchetti, cerimonie e adulazioni. Di notte osservava estasiato l’immagine di Endimione. Le stoffe pregiate esercitavano su di lui un grande fascino, e nel suo desiderio di procurarsene aveva mandato in giro molti mercanti in Persia, in Egitto e nel Mare del Nord. Si profumava assai. Ogni giorno specchiava la sua immagine negli specchi concavi dorati della reggia. Pensava giorno e notte alla sua incoronazione di re della Bellezza e del Regno di Persia. Si profumava con ambra e acqua distillata di rose vergini dell’Amazzonia.

Come gli uccelli che non hanno un domicilio permanente,  egli saltellava di fiore in fiore, di albero in albero, di festa in festa per farsi dire che era bravo, bravissimo, intelligentissimo e migliore di tutti. I fiori avrebbero voluto che fosse arrestato, rinchiuso nella prigione di Festigar, anche il nanetto espresse il suo disappunto. Povero principe invidiato da tutti, così almeno credeva. Arrivò nel giardino l’infanta e i fiori si prostrarono alla sua bellezza, gli uccelli cantarono e le lucertole ballarono in suo onore. L’infanta accarezzava i petali di rosa, i gigli le sorrisero, tutti i fiori del giardino emanarono un profumo inebriante. Il principe nell’angolo delle petunie gonfiava il petto di invidia e tremava, il nano gli ballava attorno. Povero principe invidiato da tutti, così almeno credeva. Preso dall’ira incominciò a calpestare i fiori, disprezzando l’infanta e tutta la gente della terra poiché non lo amavano, almeno così credeva. Arrivò allora il re con il suo corteo, i saggi e i poeti, i filosofi, le madonne, e tutto si fermò.

Il re pronunciò:

– Principe, mio principe, nessuno ti invidia. Sei tu a invidiare te stesso, giacché sei scorpione e vipera, maledetto dagli dei, cerchi le prede per saziarti di vanità. Non posso più tollerarti.

Ordinò dunque alle sue guardie di catturarlo e portarlo nel deserto. In quel luogo avrebbe imparato ad amarsi e farsi amare, a capire la differenza tra la sabbia e l’oro, tra la notte dei giardini e la notte dei paradisi plastici, e soprattutto a non importunare gli dei e gli uomini di buona volontà.

26/07/2018

LIBRO > Dialogo tra un poeta e un filosofo

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