Questa è la storia di due damigelle che in un piccolo paese del Salento si inventarono di essere maestrine; ma il Risorgimento storico non c’entra, anzi è qualcosa d’altro che non svelo, lascio alla libera interpretazione dei lettori: di coloro che leggeranno per fare degli accostamenti oppure di coloro che leggeranno soltanto per il piacere di leggere una storia un po’ particolare.

In quel paese di gente chiacchierona, il sole non tramontava mai, né il giorno aveva il passo della notte; tutto filava liscio come l’olio (di una volta, di un tempo di ricchezza); qualche baruffa politica dei soliti ‘migliori’ in un’asse di bene che doveva proporsi guida ‘spirituale’ del paese; qualche scaramuccia residuale di rancori resa fantastica per l’impeto di opposizione alle maestranze di governo.

Potrebbe essere mai questa novella un fantastico frivolo della letteratura d’evasione?

«Ci sono più cose in cielo e in terra/di quante ne sogni la tua filosofia, Orazio». Con queste parole il pallido principe commenta l’apparizione del fantasma del padre nell’Amleto. Ebbene, in questa storia compaiono mostri e fantasmi, sirene ed elfi, fate e vampiri, arpie e asini volanti. Le damigelle del Risorgimento conducono il mondo della fantasia nel loro piccolo castello, in una via di traverso della piazza maggiore, sdrucciola e pericolosa per i passanti. In fondo, per le damigelle la fantasia è equiparata all’algebra, ovvero in quella forma di ragionamento esatto che esclude postulati di pensiero in divenire e accetta soltanto figure (umane) riconoscibili e assimilabili alla loro logica di imperialismo paesano, camuffato con riccioli d’oro e sorrisi di serpe.

Un giorno un pensatore del paese decise di collaborare con loro per la ‘costruzione di un luogo’ in cui la filosofia, la scienza e le arti avrebbero dovuto avere un posto predominante fra tutte le altre attività simil-culturali. Il pensatore purtroppo non si accorse dei loro giochi di divinazione e di fascinazione che avrebbero dovuto eleggerle reginette del sorriso e dei sogni. In verità, le due damigelle odiavano la poesia, la letteratura e la filosofia, tant’è che si adoperarono a cospargere i libri di veleno, stipati sugli scaffali, lì dovevano rimanere e nessuno era autorizzato alla lettura di essi; tuttavia i libri parlavano tra di loro: se non sopra gli scaffali, nella testa di chi li apriva e vi entrava. Nei loro ‘Atti di bilancio’ non v’era traccia di resa né di spesa. Tutte le cose dovevano rimanere oscure agli altri. Ridevano e facevano corte con ragazzine e ragazzini. Il castello fatato era tenuto a chiave con sentinelle di provata fede. Tramavano e si trastullavano. Sorridevano come la buona serpe, vestita a festa, che, nel meriggio di sole tiepido, se ne va tranquilla in giro per i sassi a rimediare la buona preda. Il pensatore subiva tutti oltraggi, insulti e  infamie di ogni genere. L’agire delle damigelle era di una finezza unica: avevano acquisto così tanta destrezza che in ogni circostanza riuscivano a montare ad arte un palcoscenico di menzogne pur di raggiungere i loro scopi di potere. La cultura doveva essere servile ad esse, redigevano testi sacri di false verità per i loro piccoli adepti. Il paese sonnecchiava e della cultura non aveva nessun interesse e in siffatta situazione il castello delle damigelle si popolava di barbie e di fighetti scemi.

Il pensatore un giorno disse: «No. Così non va bene! Adesso ci vuole un cambiamento». Le damigelle sorrisero come erano da sempre brave a fare; ma era un sorriso di morte, sorriso di serpe che nell’immediatezza della sua manifestazione sputò il veleno in faccia al pensatore, che cadde inerme per terra. «Bene, finalmente ci siamo liberate di costui, ora sia sepolto nel cimitero degli introvabili e il suo nome non sia mai più pronunciato nella corte», disse una delle due.

Del pensatore non se parlò più. Le damigelle del Risorgimento per avvallare il loro misfatto chiesero aiuto agli ‘oppositori’, ovvero a tutti coloro che erano animati di rovesciare il governo del paese della cultura  per stabilire un regime totalitario. Cultura vista come alleanza strategica di potere e di mantenimento di privilegi; anche perché il loro possesso del castello avvenne in un tempo in cui le damigelle amoreggiavano con coloro che stavano al comando… e in caso di stravolgimento degli equilibri già si adoperavano a trattare nuove alleanze e nuove amicizie.

La storia non è finita.

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