La conobbi fra le pagine dei suoi libri e m‘innamorai delle sue stelle. Margherita era donna di geometrie lunari, straordinariamente scienziata. Mi è sempre piaciuta questa donna onesta, che ha conseguito risultati importanti in ambito scientifico grazie alla sua tenacia, pazienza e capacità di ricerca.

In astronomia il progresso della conoscenza è stato straordinario. Abbiamo, ad esempio, appreso che la Terra è al centro dell’universo, ed è un pianeta del sistema solare, ma questo non è al centro della nostra galassia, la Via Lattea, come si pensava; difatti, è saltato fuori che siamo in periferia. La nostra galassia è una fra miliardi di altre, e forse quello che continuamente ancora chiamiamo universo non esaurisce tutto l’esistente. Lo spazio pare essere davvero infinito e nessuna equazione matematica né ipotesi potrà mai contenerlo né circoscriverlo.

Nei libri che Margherita Hack ha scritto durante la sua vita, tutto mi sembra facile da comprendere: una bella favola per adulti che fa sognare e al contempo capire quanto sia minuscolo il luogo in cui viviamo rispetto a quella periferia dell’universo in cui si trova la nostra galassia. Viene da dire che le stelle stanno a guardare i nostri insignificanti affanni di vita sulla terra, quando un po’ più in altezza (così per dire) ci sono altezze siderali, imponderabili, che possono soltanto magnificare la nostra immaginazione. Non conosciamo la meccanicità dell’universo, il senso delle stelle, l’importanza delle nebulose, l’energia di un sole che non inciampa mai nei suoi ingranaggi, la luce tenue della luna, il silenzio di un universo che non va oltre la su apparenza, e il cielo per quanto tempo ancora sarà lo specchio della terra? Il vuoto è davvero vuoto, ha un massa, un’energia di consistenza, qual è la sua evoluzione? Potremmo un giorno viaggiare per galassie e imbatterci in un buco nero? Il buco nero cos’è? Hack così lo descrive in Notte di stelle (Sperlinng & kupfer editori, 2010, poi Pickwick, 2013, pag. 164):

«Per capire che cosa sia un buco nero e anche l’origine di questo nome, si pensi a un volume abbastanza piccolo in cui sia concentrata tanta materia da far sì che la velocità di fuga da questo volume superi la velocità della luce, e  quindi che neanche la luce possa uscire: dunque veramente un buco nero».

Strabiliante: la velocità di fuga dal volume di materia rende la luce prigioniera, tanto da offuscarla e renderla non più luce. E noi ce ne stiamo sulla faccia del nostro pianeta a disquisire sulle nostre piccole cose senza la consapevolezza che qualcosa di enorme ci sovrasta e ci contiene, magari fintantoché il sistema dell’universo lo consentirà. Alziamo gli occhi verso il cielo, quel cielo che ha affascinato gli antichi, e hanno assistito all’apertura del sipario del giorno e della notte. Uno spettacolo che si replica senza interruzione da parecchie migliaia di anni, e che ha il solo torto di essere finito nella nostra indifferenza poiché ci appare noioso non solo nell’osservazione ma anche nello studio.

Hack non c’è più, ma ci ha lasciato le sue buone stelle, i suoi cieli di coscienza e di scienza, le sue certezze ma anche i suoi onesti dubbi.

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