I giorni m’inseguono nell’orologio del fare per sottrarmi tempo. Annunziano franchigie di sofferenza e  in appendice al tramonto elevano uno strano altare, quasi solenne, inopportuno per me che non sono santo. Non ho il giglio del paradiso, né la palma del martirio. Non sono un baldo giovane, sono un poeta strafatto di versi, cocaversomane, sconsacrato dalle voglie sante, inopportuno all’incenso. Questi giorni mi arrapano di poesia, e di questa folle passione stampo fulmini di pagine avverse al mistero sino a giungere al mio tacito morir, consequenziale alla vanagloria di un giorno che avrebbe dovuto appartenermi e mi è stato sottratto per dispetto.

Non mi resta che prestare attenzione al titolo del libro che abbia un senso, quel senso espresso dall’autorità del Tempo che non ha alcun fine da raggiungere né alcuno scopo da realizzare, non apre scenari di finitudine, non redime, non maledice, ma promuove un orizzonte di senso poetico.

E sulle ceneri del Tempo bruciato che odora di resina di autunno  nelle terre dei pini garbati e sfrondati dal vento del Salento,  coglierò  un altro Tempo fatto di giorni della Terra degli ulivi. Avrò dominio di quiete ancorato alla volontà del verso, mio unico e solidificato linguaggio.

 

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