Era un giorno di festa. Un gruppo di forestieri all’improvviso irruppe nella piazza del paese gremita di gente e di bancarelle di scapece; gridarono: “Siamo noi gli onesti, noi, solo noi”.  Una donna spilungona, corvessa, alta e sottile come una matita staedtler, vestita di rosso con il cappello di guerrigliera, sputò: “Chi siete, da dove venite, voi non siete onesti”. Tutti si misero a ridere. La donnetta, guerrigliera e conoscitrice della storia delle storie, nonché depositaria del libro della Minerva, prontamente: “Via! Solo io e pochi altri conosciamo il Bene dell’onesta!”
 
I forestieri allora tolsero le spade dalle guaine e le brandirono nell’aria, una di esse  colpì a morte la guerrigliera – corvessa, che cadde a terra, e la terra si rivolse ma il cielo sorrise.  Un forestiero: “Ma perché abbiamo fatto questo, non meritava di morire, quale giustizia noi davvero consideriamo?”. Un altro: “Meritava di morire perché nel suo cuore covava l’odio, il veleno delle serpi dell’Amazzonia, e ogni giorno allungava il suo corpo di un centimetro per raggiungere le altezze del cielo e sottrarre il trono della giustizia a Dio. La corvessa, discendente diretta dei corvi, era dedita al culto del dio Basiliscus; nel suo tempio officiava riti di inganni e scagliava maledizioni verso coloro che si rifiutavano di seguire la sua dottrina religiosa incentrata sull’annientamento delle classi borghesi. La sua giustizia non comprendeva le leggi vere della giustizia, bensì le sue scriteriate ipotesi di un bene (mal) posto al senso della giustizia stessa; ovvero la giustizia doveva configurarsi come un’arma a disposizione di una sola classe politica che nelle direttrici delle proprie rivendicazioni doveva portare all’innalzamento sociale della classe che si mostrava consenziente alla rivendicazione di una giustizia che si prefiggeva di fare e dare giustizia con il lancio dei dadi, lasciando alla sorte ogni decisione. Questa sua dottrina l’aveva resa superba e antipatica; ma le aveva anche dato celebrità di sacerdotessa e pitonessa. Inoltre, alcuni le avevano attribuito poteri di guarigione della gomorrea e della minuscolite.
 
Il popolo esultò alla sua morte. I forestieri in ricompensa ottennero vino e scapece. Finalmente la giustizia avrebbe ripreso il suo corso. Il Sindaco del paese allora decise di far issare sul campanile della chiesa  un’enorme bilancia sempre in equilibrio, anche durante gli attacchi di vento forte, anche al flebile respiro di un passero. Fu scritto:  “Né il vento né la tempesta potranno fare oscillare i bracci in su o in giù, né le parole di odio dei cuori malvagi, vittime essi stessi di quell’idea che la giustizia si ottiene perpetrando un’ingiustizia ”.
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