Quel poeta aveva un cammello cieco. Girovagava per il deserto alla ricerca della luna migliore, fra i venti caldi impietosi.
Quel poeta immaginava storie di uomini.
Era stanco più del suo cammello claudicante e cieco, ma pensava di fare il bene della poesia nelle ombre di luna della notte di ieri.
Quel poeta aveva la melodia degli astri nelle orecchie sorde e cantava rime. Il cammello sorrideva compiaciuto e il sole fanciullo si sdraiava comodo sull’aurora di maggio per ascoltare quel poeta non in concorrenza con gli uomini.
Quel poeta non ricordava nulla di sé, non conosceva la storia, né la geografia, non aveva mai visto un suo simile. Pensava che il mondo fosse quel deserto e che la luna e il sole erano divinità di cui fidarsi.
Pensava che prima poi potesse accadere di ricevere la palma del martirio. Il cammello era sì cieco, ma sapiente e intelligente e gli piaceva annuire precipitosamente alle illusioni innocenti del suo padrone; consapevole tra l’altro che loro due fossero una coppia fuori del comune, contenuta in un “oltre” che era paradiso di parole.
Dei due, il poeta era il cammello.