Sono vent’anni che trascorro le serate estive in compagnia del principe Giovanni Valla della dinastia degli Asburgo. Serate con caffè in ghiaccio e parole in libertà che il principe trasforma con maestria in altre, dando un senso letterale e letterario diverso, manipolando nomi e cognomi, sconvolgendo eventi e immaginando nuovi mondi.

Il principe elegante e mite, sornione, dilata conversazioni in un senso unico di divergenze quasi impossibili da comprendere, competente ed erudito, raggiunge il Salento il 1° luglio con sua cugina Donna Rosa Hachmer, duchessa di Hallstatt. Valla a tavola ogni giorno immancabilmente gusta uova sode e brodo di gallina, servite dalla sua domestica Giuliana. La moglie del principe, popolana di Salisburgo, predilige la pizza e i panini, donna sbadata infastidisce con frequenza il principe, tanto da provocare furiosi litigi che si risolvono immancabilmente con una risata fragorosa.

Questo mio amico,  del quale mi avvalgo ogni sera insieme ad altri poche personalità della cultura, mi rallegra e mi rincuora; mi distoglie da problemi esistenziali, mi pervade di felicità. Insieme leggiamo e trattiamo pagine memorabili di letteratura e di filosofia, insieme rileviamo errori astronomici e matematici ancora irrisolti, insieme elaboriamo teorie lunari, nonostante gli interventi poco graditi di sua cugina Donna Rosetta, che tra un ballo solitario di valzer, un gelato, un cornetto, si insinua nelle conversazioni come il mago delle stelle che si chiede con insistenza che cosa siano l’infinito e l’eternità. Sopportiamo, dunque, le invadenze, ma al contempo non riusciremmo a fare a meno delle sue intemperanze e di qualche illustre (poco) ospite con cane.

E così vanno le serate di luglio, agosto e settembre, sotto il velo di scirocco che il clima salentino ci regala, con la luna che a nostra insaputa si cambia d’abito e si rende bella per Donna Rosetta, e le stelle insonni che non spengono mai la luce.

E così vanno le nostre conversazioni nella liquidità del tempo, in una sorta di tempo nel tempo che difficilmente muove se stesso e resta immobile nelle nostre mani, affinché possa subire una trasformazione eterna di un momento che ci appare e ci scompare in mille situazioni di incongruenza letteraria e filosofica. I ventagli andalusi che donna Rosetta sfoggia ci illudono di refrigerio: ma quale brezza infatti potrà mai ella generare? La brezza del delirio? La brezza delle rose gentili, di cui è figlia e madre, madonna dei fiori di Sanarica, nonché consolatrice degli afflitti? Donna Rosetta in virtù della rosa recita rosari e litanie, immersa nei fumi dell’incenso e nella fragranza dei fiori d’arancio, splende superba nella sua bellezza. Devota di Santa Liberata e di tutte le sante del Paradiso, non disdegna però approcci religiosi con altri santi.

Ecco la mia estate: il solito divertimento che da vent’anni non mi lascia, che mi bevo ogni sera nel caffè in ghiaccio che la maledetta domestica ci serve con indignazione e sofferenza; non ne conosco il motivo. Mugugna, comunque, tutta la servitù di casa del principe. Non posso svelare altro: il principe potrebbe riprendermi. Fra poco le ombre della notte estiva si appresteranno a coinvolgerci nelle loro insignificanti barlumi di luce che non rischiarano nulla ma rendono almeno per un po’ il senso della notte e della baldoria delle parole che il principe dopo la cena metterà in scena.

Così va la mia insolita, fantasiosa, irriverente estate di parole e di anagrammi, di verbi inventati, di avverbi nuovi. Ci perdoni la Logica.

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