Ero negli specchi e guardavo i cammelli, ed essi non mi vedevano.
Adesso gli specchi sono curvi verso la realtà ed io sono in essa.
Le storie che un tempo narravo sono da ricomporre sotto il cielo che di un deserto è anima. Non tutto è stato scritto e qualcosa ancora può essere raccontato per fare accadere di nuovo con le parole quello che è già accaduto.
Ero abituato a vedere ogni cosa dietro le quinte degli specchi, adesso sono io a dovere rappresentare le vicende, ma non sono addestrato. Le idee non sono salde. I versi nel sonno di un notturno destano la luna che dell’incenso della mia iniziazione poetica pare interessarsi.
Avrei voluto seguire il cammino delle formiche che corrono veloci in due sensi; sicure, sanno dove andare e soprattutto cosa fare. Sono invece in un sogno oleoso, dove la libertà è untuosa e non possiedo un adeguato corredo di sapienza.
Un tempo lo specchio era il mio rifugio ed ero nell’ordine dei pensieri e delle parole. Ora non ho immagini bensì geometrie di incertezze, abbozzi di tempo, quaderni di errori, ritagli di memoria deposti sulle grucce dei peccati.
E mi tocca stare con i cammelli che fra tutti gli animali sono i più consenzienti ad accettare gli estranei.
Di essi sono amico. Insieme ci cibiamo delle erbe asciutte e spinose, salate o amare. Sono in tanti in questo deserto e mi coccolano. Vogliono che io sia il loro cammelliere. Come faccio? Io non so farlo. Che strano destino il mio, immaginato dallo specchio e rivelato ai cammelli che mi hanno adottato con benevolenza.
Il vento nomade della notte mi è compagno e porta nelle mani le nubi di parole; si confonde con gli spiriti del deserto e lotta con gli scorpioni. Lascia il segno sulla sabbia fino all’alba, fintantoché un altro vento dispettoso del mattino non lo cancelli. È impetuoso, modella le rocce e toglie il respiro.
Io e il cammello accovacciati resistiamo al Khamsin che soffia ininterrottamente per cinquanta giorni. Corre come un bambino, si snoda e urla, lascia la sua firma sulla gobba, arde l’aria che fonde il blu della notte. E non dà modo di formulare un pensiero nell’arido nulla del deserto dove la vita evapora dagli occhi che tentano di sottrarsi alla luna; ma tutto sopravvive, anche la difficile “gioia della solitudine” che quando il vento non è corteo funebre delle speranze svanite e delle illusioni pietrificate, suggerisce i segreti del sublime.