John Keats (Londra, 31 ottobre 1795 – Roma, 23 febbraio 1821), poeta inglese, uno dei principali esponenti del romanticismo etico, che a differenza di quello dei suoi contemporanei (Wordsworth e Coleridge) si identifica sul valore della bellezza piuttosto che su un misticismo naturalistico. Keats è affascinato dai capolavori architettonici della Grecia antica, che ha la possibilità di ammirare per la prima volta davanti ai Marmi di Elgin (conservati presso il British Museum) che prendono il nome da Thomas Bruce, VII conte di Elgin (1766-1841), diplomatico britannico, famoso per avere asportato appunto i marmi dal Partenone ad Atene ed averli trasportati in Inghilterra.

(Uno degli altorilievi rimossi dalla spedizione di Lord Elgin ed ora al British Museum)

Il suo entusiasmo per l’arte greca favorisce la sua immaginazione tanto da renderlo capace di astrarsi dalla realtà rievocando momenti della sensuale civiltà ellenistica. La poesia più rappresentativa di questa sua passione è Ode on a Grecian Urn (Ode a un’urna greca), pubblicata per la prima volta nel 1819. L’ode è un canto dedicato alla bellezza “senza tempo” che non ha bisogno di giustificazioni essendo essa perfetta manifestazione dell’arte, in perfetta armonia con l’idea di arte e bellezza del poeta, secondo cui l’una e l’altra si manifestano attraverso ciò che non è ben definito e misterioso, segreto e non svelato.

Gli ultimi versi concludono con una riflessione filosofica sul rapporto tra l’arte e la bellezza:

“Bellezza è verità, verità bellezza,” –  questo solo
Sulla terra sapete, ed è quanto basta.

Secondo Maurice Bowra (1898-1971, studioso inglese) in The Romantic Imagination, Oxford University Press, 1950, l’ode si compone in tre parti distinte:

– introduzione

– un corpo principale

– una conclusione

Nell’introduzione il poeta presenta l’urna rivolgendo a se stesso e al lettore una serie di domande. L’urna assume la connotazione di sposa, figlia adottiva e narratrice (vv. 1-3). Questa opera d’arte immobilizzata nel silenzio (figlia adottiva del silenzio; v. 2), dà un senso di rispettosa riverenza, di indicibile meraviglia, capace di raccontare una favola fiorita più dolcemente delle nostre rime (vv. 3-4).

Nel corpo principale descrive le scene rappresentate sull’urna a modo suo, così come l’immaginazione gli permette di vedere. Si chiede appunto chi siano le figure intarsiate (v. 6),quali leggende narrino e da dove provengono. Lascia comunque al lettore la facoltà di immaginare la storia di una fanciulla che scappa ritrosa, una processione di uomini e donne o una fuga precipitosa. In tutto ciò si denota la negative capability, che è la caratteristica stilistica di keats: l’incerto, il vago e il misterioso.

Nella conclusione è una sorta di dichiarazione della sua poetica in ordine alla bellezza e all’arte. L’urna è come l’eternità che non dà risposte alle domande e tormenta la ragione umana.

L’ode è composta di cinque strofe di dieci versi.

Ode a un’urna greca

I
Tu, ancora inviolata sposa della quiete!
Figlia adottiva del tempo lento e del silenzio,
Narratrice silvana, tu che una favola fiorita
Racconti, più dolce dei miei versi,
Quale intarsiata leggenda di foglie pervade
La tua forma, sono dei o mortali,
O entrambi, insieme,  a Tempe o in Arcadia?
E che uomini sono? Che dei? E le fanciulle ritrose?
Qual è la folle ricerca? E la fuga tentata?
E i flauti, e i cembali? Quale estasi selvaggia?II
Sì, le melodie ascoltate sono dolci, ma più dolci
Ancora son quelle inascoltate.  Su, flauti lievi,
Continuate, ma non per l’udito; preziosamente
Suonate per lo spirito arie senza suono.
E tu, giovane, bello, non potrai mai finire
Il tuo canto sotto quegli alberi che mai saranno spogli;
E tu,  amante audace, non potrai mai baciare
Lei che ti è così vicino; ma non lamentarti
Se la gioia ti sfugge: lei non potrà mai fuggire,
E tu l’amerai per sempre, per sempre così bella.

III
Ah rami, rami felici! Non saranno mai sparse
Le vostre foglie, e mai diranno addio alla Primavera;
E felice anche te, musico mai stanco,
Che sempre e sempre nuovi canti avrai;
Ma più felice te, amore più felice,
Per sempre caldo e ancora da godere
Per sempre ansimante, giovane in eterno.
Superiori siete a ogni vivente passione umana
Che il cuore addolorato lascia e sazio,
La fronte in fiamme, secca la lingua.

IV
E chi siete voi, che andate al sacrificio?
Verso quale  verde altare, sacerdote misterioso,
Conduci la giovenca muggente, i fianchi
Morbidi coperti da ghirlande?
E quale paese sul mare, o sul fiume,
O inerpicato tra la pace dei monti
Ha mai lasciato questa gente in questo sacro mattino?
Silenziose, o paese, le tue strade saranno per sempre,
E mai nessuno tornerà a dire
Perché sei stato abbandonato.

V
O forma Attica! Posa leggiadra! Con un ricamo
D’ uomini e fanciulle nel marmo,
Coi rami della foresta e le erbe calpestate –
Tu, forma silenziosa, come l’eternità
Tormenti e spezzi la nostra ragione. Fredda pastorale!
Ancora tu ci sarai, eterna, tra nuovi dolori
Non più nostri, amica all’uomo, cui dirai
“Bellezza è verità, verità bellezza,” –  questo solo
Sulla terra sapete, ed è quanto basta.

 

 Nel 1817 Keats pubblica il suo primo volume di poesie, intitolato Poems.

Muore il 23 febbraio 1821 a Roma, dove giunse il 15 novembre del 1820, prendendo casa al numero 26 di Piazza di Spagna. Viene sepolto il 26 novembre nel Cimitero inglese.

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