(Fernando Pessoa, [a cura di Amina Di Munno], Il violinista pazzo, Passigli, 2004)
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Il rapporto fra il tempo e la coscienza è straordinariamente condotto nell’ambito mistico e filosofico. Il luogo è indefinito, come se non fosse di nessuna importanza. Ciò che viene esaltato è il soprassalto dell’anima che gode della melodia che non era una melodia, e neppure una non melodia. Allora cos’era? Una doppia verità, una negazione, un paradosso. Il gioco incrociato delle opposizioni si fissano nel sistema lessicale della poesia. Una turbolenza poetica che spazia dalle suggestioni simboliche alle strutture di analogie e corrispondenze, come un gioco ogni cosa ha il suo opposto che genera un vuoto, domande senza risposte, silenzio che potrebbe acquisire la capacità di irrompere nel suo nucleo per musicarne un suono, uno spartito di mistero e di senso che racchiude le cose insieme. Al mistero della morte e dell’esistenza contrappone soliloqui meditativi: improvvisamente ciascuno ricorda – / risplendente come la luna nuova/ dove il sogno-vita diventa cenere –.
Il titolo della poesia non deve trarre in inganno: la sensibilità del violinista confina con la follia e la genialità che ne deriva dalla sua fragile e potente arte tanto da riuscire nell’intento di imporre nelle sue opere un senso di unità, di sviluppo e armonia di un sogno (vita) non più illusione, irrealtà ma definizione di un mistero. La sua musica irrompe e scompiglia, agita, mortifica le coscienze, ma poi quando scompare ogni cosa è messa al suo posto, l’ordine è così ricomposto.