Quando muore un poeta muore qualcosa in ognuno di noi. Andrea Zanzotto, maestro della poesia del secondo Novecento, ha dedicato tutti i suoi sforzi per la poesia. Ha guardato il mondo, ha riflettuto sulla società e sulla politica. I suoi versi esplicano la realtà, e dei grandi interrogativi che essa è portatrice ha tratto un messaggio di speranza.
Oggi, 18 ottobre dell’anno 2011, Zanzotto ha interrotto la sua vita terrena. Ha lasciato a tutti noi la sua poesia: attuale più che mai, pulita, capace di estrarre interrogativi ma al contempo speranze. Fabbro delle parole, ha coniugato il linguaggio per la poesia per raccontare il mondo e gli uomini, per descrivere il paesaggio, per fare breccia sulla coscienza degli uomini. Poeta, ma anche con la passione per l’impegno civile. Ha saputo ritrarre l’Italia come mai nessun fotografo sarebbe stato capace di fare. Nel disordine della società dei consumi, l’unico appiglio possibile è il linguaggio, e Zanzotto ne ha fatto buon uso. A noi il dovere di non dimenticarlo.
L’attimo fuggente
Ancora qui. Lo riconosco. In orbite
di coazione. Gli altri nell’incorposa
increante libertà. Dal monte
che con troppo alte selve m’affronta
tento vedere e vedermi,
mentre allegria irrita di lumi
san Silvestro, sparge laggiù la notte
di ghiotti muschi, di ghiotte correntie.
E. E, puro vento, sola neve, ch’io toccherò tra poco.
Ditemi che ci siete, tendetevi a sorreggermi.
In voi fui, sono, mi avete atteso,
non mai dubbio v’ha offesi.
Sarai, anima e neve,
tu: colei che non sa
oltre l’immacolato tacere.
Ravvia la mia dispersa fronte. Sollevami. E.
E’ questo il sospiro che discrimina
che culmina, “l’attimo fuggente”.
E’ questo il crisma nel cui odore io dico
sì, mi hai raccolto
su da me stesso e con te entro
nella fonte dell’anno.