In un mondo in cui tutti dicono di conoscere la poesia; invero, nessuno la frequenta.

L’accesso a una soglia di senso definisce la poesia. Nel significato assoluto della parola, la poesia è quell’insieme di qualità che caratterizzano i buoni versi, ma che si possono trovare anche al di fuori di essi. Si dice poesia tutto ciò che è elevato, fuori dai soliti e consueti registri. L’accesso, talvolta, conduce laddove non c’è alcuna poesia, questa non-coincidenza fa la poesia. L’accesso è difficile, non è dato per tutti, per pochissimi. La poesia fa il difficile e ogni accesso avviene, ogni volta, una sola volta; perciò è sempre da rifare, non perché sia imperfetto, al contrario, è sempre perfetto. La poesia nella perfezione dell’accesso è la realizzazione integrale della disposizione al senso. L’elevazione del significato del verso è nella giusta misura in cui avviene l’accesso, un eccesso comporta un sovrappiù inutile e deleterio alla poesia.

Il fare si concentra nell’eccellenza della cosa scritta, che è già presente nel luogo dell’accesso, e aspetta solo di essere colto da mani giuste che sanno forgiare il senso poetico, disponendo in maniera esatta, in mezzo a tante altre cose, il parlare del senso. L’esigenza di un accesso al senso, rimanda a un desiderio di perfezionamento del senso stesso, che non può essere deturpato e violato da mani inesperte. Il poeta ha la grande responsabilità di onorare e gestire il luogo dell’accesso al senso e il senso che ne deriva, previa consapevolezza di non edulcorare oltre ciò che è già dolce. Le parole poetiche sono giuste ed esatte, perché vogliono dire qualcosa di esatto, di non vago. L’inconcludenza del senso non appartiene alla poesia, lo nega, e lo rinnega.

Fare poesia è come fare il pane buono con gli ingredienti già dati, buona farina, tempo di cottura esatto, fuoco non violento. Le mani del fornaio, allora, daranno il pane buono che nutre e piace. Ecco, fare la poesia è un po’, tutto, così.

21/11/2024

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