Zangone, termine dialettale di una erba che cresce spontanea nelle campagne del Salento. Nei modi di dire indica una persona poco accorta, stupida e ipocrita.

C’era un tale, una volta, che s’ingrassava impunemente del bene sottratto ai malcapitati. Prosperava, in malvagità. Aveva il sacco di denari e il trono di latta, un codazzo di stupidi lo trastullava, prendeva a gabbo coloro che osavano opporsi alla sua forza. Pensava di  sapere tutto quanto è scritto sui libri, rubava le citazioni ai dotti e le faceva proprie. Appariva con il volto del Male, con la sua aria maleodorante di superbia.

Adesso?  Ogni sua cosa è chiusa nelle parentesi, un grosso punto chiude le fantasticherie nelle sue consuete usanze d’essere zangone che fa rima anche con coglione.

Cavaliere di ogni Ordine, laurea Honoris causa dell’Università di Panama (forse), presidente di niente. Non smette, però, d’essere arrogante; i suoi cavalli li ha già persi, neanche un mulo  possiede, né vigne, né palazzi.

Il sole sì è spento, abbondantemente, senza pietà. Il superuomo è in mezzo a un labirinto di trincee sfondate con  un esercito di scheletri umani e rottami di ogni sorta. Poverino! Gli rombano, come le sirene di Omero, tutti i mali di cui è stato artefice. Il cavallo di Troia è una reliquia. La sua ossessione di vincere su tutti e sulle cose ha sconvolto il suo timido cervello, già allo stato di quiete in mille circostanze, in cui avrebbe invece dovuto attivarsi per uno (uno soltanto) disegno sull’avvenire. Va in chiesa, però. Chissà quali preghiere offre a Dio. Ecco, basta questo per mettersi l’anima in pace. Il resto non conta nulla agli occhi suoi: il mondo è ancora fatto di asini e pecore, ma c’è un toro che è già in movimento con le sue incornate. Poverino! Cosa è rimasto  dei fasti e dei fasci?

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