Trainieri deriva da traìnu (carretto), con il suffisso ieri proprio ad indicare un mestiere. Trainieri era colui che dal Settecento sino alla metà del Novecento trasportava con il proprio carro qualsiasi materiale. A Tuglie, in particolare, come in tutti i paesi del Salento, trasportava li ‘cuzzetti’ dalle ‘tajate’ direttamente sul posto delle costruzioni delle abitazioni. Uno dei suoi segni di identificazione e di appartenenza era il classico fazzoletto, prevalentemente di colore rosso, legato al collo.

Nel periodo della vendemmia su il traìnu venivano collocate delle sponde per trasportare l’uva. Li trainieri erano molto abili nello schioccare lo scurisciatu (frusta, striscia di cuoio) per modulare l’andamento del cavallo, accompagnandolo con le tipiche esclamazioni ‘ah, ah‘ per incitare il cavallo a muoversi, oppure ‘hi, hi’ nell’impartire l’odine di fermarsi. Lu scurisciatu era l’attrezzo del trainieri con cui questi dimostrava la sua abilità dello schiocco e la disinvoltura con cui lo faceva roteare nell’aria. Non di rado durante le feste paesani i trainieri si esibivano in vere e  proprie gare di schiocco. Nelle fiere di bestiame in quasi tutti i paesi del Salento i cavalli erano sottoposti alla ‘prova del tiro’. La prova era molto semplice: lu trainu carico di blocchi di tufo, di circa 2-3 quintali, veniva posto con le ruote bloccate in piccole infossature del terreno  in modo che non potevano andare all’indietro, il cavallo poteva quindi solo tirare in avanti. Il cavallo che riusciva a vincere la forza d’inerzia veniva dichiarato vincitore e il trainieri riceveva un premio in denaro.

Il cavallo va bene anche per deliziare il palato. I pezzetti di cavallo (carne tagliata a pezzetti e cucinata come se fosse una ribollita o un gulash) erano anche il giusto pretesto sino agli anni Ottanta per ritrovarsi in osteria (puteche te vinu)  a bere mezzu quintu te vinu. 

(Salvatore Malorgio, Trasporti a Tuglie negli anni Cinquanta, 2012)

Li trainieri durante il tragitto intonavano canti allegri che dedicavano alla propria donna o allo stesso cavallo.  I tugliesi che hanno svolto questo spettacolare e faticoso mestiere furono li sanapi (Famiglia Romano, Pippi e Ucciu, Biagio), Aldo Pasanisi, Raffaele Saccomanno (detto caddhrinazza), Nino Merenda, Peppe te lu Camillu (padre di Vitucciu pastore detto Vitucciu Pacciu), Armando Solida (detto cargiuppu), Pici catroscia. Questa attività si protrasse sino agli anni Settanta del Novecento per poi scomparire lentamente: lu traìnu veniva sostituito con i mezzi meccanici  moderni.

Intorno ai trainieri e al cavallo si intrecciano molteplici storie e fattarelli che cristallizzano momenti di quotidianità della gente. Si narra che intorno alla fine degli anni Venti, Tommaso Antonaci (della famiglia  papaionaca) di anni sei, uscendo dal proprio cortile andò ad impattare sulla strada un cavallo che proprio in quel momento transitava con il carro. Schiacciato dal cavallo se la cavò con delle escoriazioni, ma la pura fu tanta che il giovinetto si ammalò dopo poco tempo di cuore. Quell’incidente lo segnò per tutta la sua vita.

I suoi genitori Vito e Pietrina Pagliara fecero quel che poterono per aiutarlo a guarire. Tommaso si disperava sul letto e un giorno implorò il padre di vendere la capra per comprargli le medicine da Lecce. Vito Antonaci allora si recò dal medico per chiedere consiglio, ma il responso fu che non c’era niente da fare. Tuttavia, rimaneva in piedi lo scrupolo di dare almeno una speranza al proprio figlio, e fu simulata la vendita della capra e il viaggio a Lecce per comprare le medicine. Vito rimase un giorno lontano da casa nella sua campagna, e al ritorno – d’accordo con il medico – fu iniettata al povero Tommaso una flebo di soluzione fisiologica. Tommaso disse: tata hai vistu, sta me sentu già meju. Grazie pe quiddhru ca hai fattu. Dopo alcuni giorni, nel 1948, Tommaso morì serenamente, lasciando nello sconforto e nel dolore i propri familiari. Ebbe un funerale come si usava fare a quei tempi: le ragazze vestite a sposa, confetti, i fratelli della Confraternita di san Giuseppe e tanta gente a dare l’ultimo saluto al giovane Tommaso. Ancora oggi questa ‘piccola’ storia di dolore viene raccontata dagli anziani della famiglia Antonaci a rimarcare l’umiltà e la dignità che richiede il dolore. In suo onore i fratelli a loro volta diedero ad uno dei propri figli il nome Tommaso. Oggi rimane nel cimitero di Tuglie una piccola lapide a ricordo della breve esistenza di Tommaso, fa tristezza rilevare che su di essa compare solo la data di morte e di riesumazione, null’altro conta, neanche i giorni, i mesi… d’altronde che senso avrebbe? sussiste, tuttavia, l’interrogativo di interrogarci profondamente sul fatto che la realtà della morte ci possa sfuggire. A noi rimane di metterci alla ricerca del tempo perduto, del tempo svanito senza una ragione.

 

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