La festa della Madonna dell’Annunziata a Tuglie, prima del covid 19, si svolgeva tra luminarie, processione e la presenza dello scapaciauru mesciu Pici (Luigi) da Gallipoli.  La festa senza la scapèce non era festa. Da circa un anno le feste patronali sono state congelate e di conseguenza è venuta meno la condivisone di un sentimento religioso ma anche di appartenenza ai valori di una tradizione popolare. Niente feste, niente scapèce.

Scapèce è un termine meridionale che deriverebbe dallo spagnolo escabèche (salsa all’aceto), alterazione di voce araba (Treccani vocabolario), per indicare il pesce di piccola taglia (ad es. pupiddri) condito con aceto, aglio e zafferano. Tuttavia, in riferimento all’etimologia del termine scapèce va precisato che nel Vocabolario delle parole e del dialetto napoletano che più si discostano dal dialetto toscano  degli Accademici Filopatridi, Porcelli, Napoli, 1789, vol. 1°, pag 89, il termine si fa risalire sì agli spagnoli che dicono escabeche, ma originariamente era esca Apicii, che si ritrova nel libro di cucina romana di cui l’autore è Apicius (cuoco e scrittore romano). Ebbene, pare incontrovertibile che – secondo gli accademici Filopatridi – la voce spagnola deriverebbe dalla locuzione latina esca Apicii (genere di salsa) e non quindi dallo spagnolo escabèche, a sua volta deriva dall’arabo sikbag (carne marinata).

In Calabria, precisamente a Trebisacce, – secondo Giuseppe Mormandi – “scapèce sta a indicare la pietanza delle melanzane conservate sott’olio con aceto e sale, quindi nulla a che vedere con la scapèce salentina. Il termine dialettale altojonico calabrese potrebbe derivare dal termine ‘scapare’ (togliere la testa, spezzare). Nella preparazione di questo cibo conservato, si perpetuerebbe il rito apotropaico del tagliare la testa (simbolicamente rappresentato dalla melanzana) e quindi colpire la malasorte proprio con un taglio. La conservazione del cibo per la sopravvivenza – continua Mormandi- rappresenta un rituale scaramantico contro le avversità della natura, una protezione arcaica che vuole per vincere, superare il decadimento materiale dovuto al trascorrere del tempo: in questa prospettiva , l’ uomo deifica il cibo, per renderlo in grado di superare la sorte avversa e il naturale attacco del tempo”.

(scapèce calabrese)

Difficile stabilire l’esatta etimologia della parola scapèce, tuttavia ciò che conta è il possesso della memoria che nel suo fluire tramanda le tradizioni della comunità. La memoria ci spinge verso il confronto con noi e con le cose del passato,  dove il racconto è parte dell’indagine conoscitiva, nonché elaborazione del passato e forma di conoscenza al pari della spiegazione.

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