Sabburcu, sepolcro, in particolare il repositorio in cui viene posto nelle chiese il SS. Sacramento nel giorno del Giovedì Santo, dal latino sepulcru(m). Questo termine traslato significa ingombrante, fuori posto, tant’è che si dice: llèate te menzu sabburcu. In riferimento invece al Giovedì Santo si usa dire: girare li sabburchi, visitare le chiese. Nell’immaginario collettivo si immagina il sepolcro, la tomba in cui venne deposto Gesù Cristo; invero, si tratta dell’Eucarestia riposta al termine della messa vespertina (in Coena Domini, la Messa nella Cena del Signore).
La tradizione salentina vuole che l’altare della reposizione (sabburcu) sia addobbato, in devozione all’Eucaristia, in modo solenne con composizione floreali, drappi, luci o altri simboli, nonché i germogli di grano (simbolo della sepoltura e resurrezione di Cristo). Nelle chiese di Tuglie, secondo l’antica tradizione della Passione, l’allestimento del sabburcu viene fatto con profonda devozione e partecipazione. Alcune suggestive immagini del ‘sepolcro’ allestito nella Chiesa matrice nell’anno 2018, gentilmente concesse da Gianpiero Pisanello.
Presso i Romani, nel repositorium o repostorium si ponevano vasi e stoviglie della mensa, o si racchiudevano oggetti preziosi. Nel linguaggio ecclesiastico il termine repositorio si applicava a più soggetti; in modo particolare al recipiente, generalmente a forma di colomba, dove si conservava il SS. Sacramento; in generale a qualunque coppa, teca, capsula, scrigno, borsa in cui venissero deposti oggetti sacri. Del resto il significato della parola veniva esteso anche a indicare armadî sia che fossero custodie di reliquie sia che servissero per la conservazione delle vesti sacre. Infine nei tempi tardi divenne anche sinonimo di sepolcro o di cassa in cui si raccoglievano le ossa (Treccani enciclopedia).
03/04/2021