Occhi pieni, mani vuote. Breve ma intenso nel proprio significato: gli occhi pieni di fantasia non portano a nulla, rendono le mani vuote. L’agire dovrebbe superare l’immaginazione, altrimenti resterebbe tutto per aria, senza conclusioni di fatto. Il senso pratico e ‘necessario’ della vita. La volontà come atto formativo delle idee presuppone la forza di ‘fare’, di costruire, di possedere qualcosa con il sudore, per riempire le mani di pane e di vita. Il proverbio si oppone alle parole del Vangelo di Matteo e Luca (4, 4) non in pane solo vivet homo (non di solo pane vive l’uomo). L’uomo non vive di solo nutrimento materiale, ma soprattutto di quello spirituale.
Certamente, c’è in ogni persona una fame che non si ferma al cibo: il desiderio di dare un senso alla vita e divenire compiutamente un essere umano. A tavola si impara e si verifica che il pane non basta. Da piccoli qualcuno ha l’obbligo di nutrire la prole, da grandi si sperimenta il bisogno di procurare il pane. A tavola si impara a fraternizzare; ha un magistero decisivo per tutti gli esseri umani che vengono al mondo: si è consapevoli? A tavola si celebra la nascita, le nozze, il giorno di lavoro: tutti eventi che danno un senso alla vita. La tavola non è mai per una singola persona, è per l’altro, per gli altri, per la fraternità, l’amore.
Occhi pieni, mani vacanti è sì un invito a non vivere di solo sogni, ma sottende anche la necessità di sentirci umani, persone che sognano il bene e l’uguaglianza. Così si intende dire di colui, che – per sua incapacità o per sopravvenute contrarietà – non riesce a raggiungere il risultato sperato, rimanendo a mani vuote.
Gli occhi – strumento di osservazione e di immaginazione. In alcuni casi, troppi piccoli per non vedere niente. In altri, grandi per vedere oltre la realtà e in essa equilibrare le bilance della vita. E’ quindi solo una questione di peso e di possesso, di obiettivi, o di altro?
23/07/2023