Questo proverbio mi è stato comunicato da Silvia Scarpa. Cu mie acqua strusci, ‘con me acqua strofini’ è la versione in lingua italiana. Nell sua semplicità il proverbio elogia la dignità di una persona, ma al contempo mette in rilievo il vizio, l’immoralità dell’altra. Una volta pronunciato funziona come deterrente nelle pratiche non concilianti, tese comunque a un rapporto di correttezza e di rispetto reciproco. In alcuni casi può avere anche la funzione di rimandare un rapporto di natura amicale o di altra natura, in attesa di comprendere meglio le intenzioni del proponente. È comunque il proverbio un mezzo per eliminare qualsivoglia compromesso di intese e sgombrare il campo da ogni equivoco. Il richiamo all’acqua è evidente: così come è impossibile strusciare l’acqua, allo stesso modo è improbabile che una persona ottenga qualcosa da un’altra persona, quindi detto anche in dialetto nu te buschi nenzi.
Saggezza del popolo che nella vita quotidiana impiega il proverbio per esorcizzare eventi cattivi e pericoli imminenti. Il popolo sentenzia per sé e per gli altri, redige verbalmente il codice della moralità, dell’onestà, della fatica che richiede dedizione e sopportazione di diseguaglianze. Il proverbio è la sostanza e la forma di un agire che nel linguaggio formula una valutazione efficace e privilegiata della coscienza. La sincerità ha sempre un prezzo, come tutte le cose della vita, ma possiede una spinta propulsiva tale da avviare un confronto per far cambiare le aspettative degli uomini nella direzione giusta. Il proverbio è regolamentazione dell’agire, della costruzione dell’identità, della coesione delle tradizioni e dei valori. Dimenticare i proverbi del passato è un danno inflitto alla coesione della società, alla sua reale sussistenza. La memoria non è soltanto recupero di un dialetto che prepotentemente viene schiacciato da anglicismi e neologismi, è soprattutto prova di orgoglio e di appartenenza ad un luogo e alla storia delle persone. L’abitudine di questa nostra società è di semplificare tutto, parole e gesti, la prova è l’uso sproporzionato di faccine e di abbreviazioni arbitrarie delle parole che conducono al disinnamoramento della lingua, del parlato, del fascino di comunicare. L’auspicio è recuperare tutto quanto si è perso nella disinvoltura di una modernità che riduce le essenzialità e moltiplica le inutili abitudini.