Il gallo non canterà. Cristo non morirà. Non può e non deve morire. C’è bisogno di Lui. Magari potesse fare ordine disfacendo il disordine. Il mondo è segnato dalle ferite del denaro, della bruttezza dell’agire, inquinato e devastato. L’uomo sembra trovarsi intrappolato nelle gallerie delle piramidi egizie,  vivente nell’attesa della morte. Gli incroci e le direzioni sono molteplici  e la via d’uscita non è segnalata, qualche dettaglio è anche ingannevole, poiché la parvenza di una porta indica la biforcazione di un labirinto che si contorce e si dirama per chiudersi definitivamente.

Si è accumulato in covoni l’irreale in dilatazioni di falsità per giungere al gigantismo delle irresponsabilità singole e collettive. L’uomo si è adoperato a forgiarsi una condizione a sua misura in dispregio di quella originaria, compiacendosi della sua inquietudine e perenne insoddisfazione. Caduto nel tempo, adesso la vertigine della caducità lo travolge in una zona di assenza e di nullità, tanto da non essere né con se stesso né con il mondo in una sorta di zona franca.

Come può quindi Cristo morire sulla croce lasciando le cose in questo modo? La morte va prorogata sine die. Cristo è l’uomo nuovo, immagine dell’invisibile, perfezione dell’intelligenza, artefice della creazione imperfetta dell’uomo. Se c’è stato un disegno qualcosa non ha funzionato e sicuramente il creatore è afflitto in cuor suo. Le imperfezioni dell’uomo sono molteplici e allora sarebbe il caso che Cristo non morisse. Difatti il vero miracolo non sarebbe la sua resurrezione ma  la sua permanenza in vita, poiché la morte non gli spetta non avendo preso parte in alcun modo al peccato che la provoca. E seppure la resurrezione rappresenta il mistero dell’incarnazione, il miracolo dei miracoli, la ripresa del suo stato naturale, nonché la rivelazione della condizione di eternità, rimane il problema di fondo di come andrebbe gestito il presente degli uomini, che comunque va vissuto e nessuno finché rimane in vita può sottrarsi.

L’eternità è qualcosa che riguarda il tempo subito dopo la morte, di cui non si conoscono né le modalità, né le condizioni, né le leggi che la regolano, ma non è nei pensieri assillanti dell’uomo, poiché ciò che veramente conta all’uomo è la vita del presente da esprimersi con qualità e di cui egli spesso ignora i parametri della generosità, della solidarietà, della giustizia, trovandosi spesso impigliato negli errori generati da valutazioni sbagliate. Cristo non dovrebbe morire. Dovrebbe mettere riparo ai cattivi funzionamenti dell’agire passivo e contro natura dell’uomo, che stenta a capire,  e quando riesce a comprendere un dettaglio ne fa ben volentieri a meno, considerata la sua attitudine all’appropriazione della lussuria, che rimane l’unico obiettivo che intende perseguire: il raggiungimento massimo del piacere in tutte le cose, scartando a priori ogni elemento disturbatore della morale. Altrimenti non si riuscirebbero a capire lo sfruttamento delle classi deboli da parte di quelle più forti, l’arricchimento forzoso di alcuni, la corruzione, la condizione indigente di molti uomini, la bramosia del potere che instaura sui falsi principi della democrazia l’inesistente uguaglianza, il proliferare della menzogna, l’arroganza, l’odio nei confronti dei giusti (pochi), la finanza allegra, la strumentalizzazione delle menti.

Ecco allora perché non dovrebbe andare in scena la morte e resurrezione di Cristo, almeno per una volta.

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