Vorrei scrivere c’era una volta per raccontare qualcosa di buono. Non serve. C’è un adesso complesso che germoglia confusione e angoscia. Il passato, quello che appartiene a tutti e non ad un singolo è irrimediabilmente ucciso. Non è riconosciuto valido. L’insipido agire odierno è intarsiato di nullità e apparenze. Al centro dell’uomo vi sono la corruzione e la perfida convinzione della liceità. Non sopporto i politici con le loro facce cangianti, le mani sporche e il sorriso di serpente. Eh sì che stanno bene, loro. Quanti privilegi, vitalizi, pensioni, soldi… sembra che tutto gli sia dovuto, per fare cosa? Niente! L’Italia, la bella Italia si svegli, non continui a dormire, schiacciata dallo spread e dalle formule fiscali del professore.
Abbiamo responsabilità che si ripercuoteranno sui nostri figli. Il futuro che non abbiamo previsto per loro cadrà su di noi come un macigno. Basta! Per favore basta! C’è l’Italia che stenta: è in apnea per il lavoro, e il governo continua a dare assicurazione che il peggio è già passato. Sino a quando penseranno che gli italiani sopporteranno le bugie e le angherie. No, non va bene!
Sorgiamo, dunque!
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Va’, pensiero, sull’ali dorate;
va’, ti posa sui clivi, sui colli,
ove olezzano tepide e molli
l’aure dolci del suolo natal!
Del Giordano le rive saluta,
di Sionne* le torri atterrate…
Oh, mia patria sì bella e perduta!
Oh, membranza sì cara e fatal!
Arpa d’or dei fatidici vati**,
perché muta dal salice pendi***?
Le memorie nel petto raccendi,
ci favella del tempo che fu!
O simile di Solima**** ai fati
traggi un suono di crudo lamento,
o t’ispiri il Signore un concento*****
che ne infonda al patire virtù!
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* Sionne è Sion, la cittadella di Gerusalemme.
**Il riferimento è ai Profeti che avevano predetto la conquista di Gerusalemme e la deportazione. L’arpa è uno degli strumenti musicali con i quali i profeti accompagnavano le profezie.
***L’arpa pende muta dal salice perché gli esuli sulle rive del fiume Eufrate dovevano tacere i canti a loro cari, per non esporli alla profanazione degli idolatri. Il concetto è ripreso dal Salmo 136: Sui fiumi di Babilonia, là sedevamo piangendo al ricordo di Sion. Ai salici di quella terra appendemmo le nostre cetre. Là ci chiedevano parole di canto coloro
che ci avevano deportato, canzoni di gioia, i nostri oppressori: «Cantateci i canti di Sion!». Come cantare i canti del Signore in terra straniera?
****Solima è il nome dato anticamente dai Greci a Gerusalemme (Jerosolima = Santa Solima).
*****Il concento è un accordo armonioso di più voci e strumenti. Il significato delle ultime strofe è il seguente: non si cantano più gli antichi anni che ricordano tempi gioiosi, ma l’arpa dovrebbe suonare nuovi canti e lamenti, tristi come il destino di Gerusalemme, tali da dare consolazione alla sofferenza.
(Il testo del coro e le note sono tratte da “Canti e Poesie per un’Italia unita” dal 1821 al 1861″, Associazione Amici dell’Accademia dei Lincei, a cura di Pierluigi Ridolfi, Prefazione di Carlo Azegli Ciampi). Per visionare l’opera http://www.amici-lincei.it/italia-unita/files/canti-e-poesie-italia-unita.pdf