Le contraddizioni in poesia tentano di annullare e, là dove sia possibile, rapportarsi all’Assoluto. Che fatica per il poeta confrontarsi con l’infinito. L’Io di fronte all’Assoluto è vulnerabile e influenzabile. Vulnerabile poiché non ha la forza di competere; influenzabile in quanto è pervaso di pregiudizi e di abitudini di esistenza. L’Io è debole. L’Assoluto è tutto. Pertanto, la sovraeccitazione poetica di confronto con esso non produce niente, anzi lo ridicolizza. Serve il bilanciamento tra realtà e Assoluto con immagini indimenticabili con pesi sonori di tonalità e sintattica in un gioco abile di contrappunti per non perdere il filo del discorso. I versi devono suonare efficacemente, sottraendoli al canone poetico desueto, Gli inutili automatismi di aggettivi registrano un’esuberanza ritmica. Il verso è il fioretto del poeta. La sciabola è lo strumento dei romanzieri. La strofa è la costruzione geometrica perfetta del significante. La rima è il punto debole, che a prima vista pare dare sonorità, invero incide sull’autorevolezza delle parole, in cui l’armonia si dà orchestra di tamburi.

Il poeta raccoglie le astrazioni e le collega alle cose della quotidianità, ai dettagli domestici, alle cose poco osservate e studiate che invece nascondono significati da estrapolare. Le astrazioni più ardue del poeta elevano la poesia dal caotico, dall’atmosfera grigia delle consuetudini. Il paesaggio ventoso e inodore, le albe tristi che potrebbero far risorgere il mondo, il dolore, il sacrificio, non sono spazi del luogo ma spazi dell’interiorità che emergono nelle loro autenticità allorquando il poeta si contraddice e si manifesta non dentro le logiche, ma fuori e dentro, in un contesto di parole scelte minuziosamente.

La poesia, per Vittorio Sereni, si rinnova a ogni primavera, poiché è mossa da una forza, da una necessità straordinariamente vitale. Necessaria? Sì, perché non parla della vita come fan tutti,  parla della vita in un certo modo. I poeti parlano della realtà tutta, a modo loro, ed è questo loro modo di ‘parlare’ che li distingue, li salvifica dall’ovvietà, là dove la banalità appartiene a tutti – e tutti se ne approfittano per accomodarsi alla menzogna. Il Poeta fa i nomi delle cose e degli uomini. Non tralascia nulla. Il poeta non scrive soltanto perché ha qualcosa da dire, si pone invece in una dimensione di particolare auto-consapevolezza, una necessità verticale di dialogo del presente e della lingua con sé stesso, che fa del semplice ‘dire’ della gente un ‘latro dire’. In questo discorso poetico la poesia acquisisce tempo, spazio, respiro, immagini che non si esauriscano in sé stesse o nella circostanza particolare, ma si risolvano piuttosto in domanda, giacché la vita è un continuo rincorrere di domande che rimandano ai libri della storia, alla vita degli uomini, alle cose utili e inutili, alle contraddizioni, in un linguaggio per dire ‘altro’. La poesia alla mescolanza delle parole e dei concetti e dell’amalgama preferisce il taglio secco, non per un mero candore narrativo, bensì per un incessante desiderio di tagliare per ricucire e continuare a tenere in fuoco la domanda dell’esistenza e la ragione di cosa ci induce a resistere, a continuare a sorridere ma anche a piangere.

La poesia è una cosa seria, talmente seria che sfugge a qualsivoglia logica e ripensamento umano. I poeti sono troppi e i versi vivono in miseria, troppo buonismo critico rovina e innalza archi di squallidi trionfi. Ogni vita è un punto di vista sull’universo. Ogni individuo è un punto di vista essenziale. Il poeta di oggi farebbe bene a considerare l’uomo e le circostanze che lo circondano, intendendosi per circostanza tutto ciò che è intorno, e si evolve, ed esige una nostra presa di posizione.

 

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