Intorno a lei la bellezza di un mare sempre insonne. Quel blu di meriggio rifletteva labbra.
Era bella!
La faccia triste del sole intimava partenze. La solitudine era imbarazzo d’estate, e nelle pieghe del dolore s’insinuava l’abbandono, in attesa che la primavera rifiorisse come le viole.
La vita inceppata nella delusione non ascoltava i suggerimenti del cuore, che erano tanto per fare qualcosa.
Al tavolino di quel caffè a ridosso della piazza principale con il campanile della chiesa riverso per terra, leggeva di Bukowski L’amore è un cane che viene dall’inferno.
Se bastasse scrivere qualche decente poesia d’amore per imparare l’amore, pensò.
E nel verso di un prematuro assaggio di morte non è necessariamente/una brutta cosa, individuò un bagliore di coraggio.
E nel procurati una grossa macchina per scrivere/e mentre i passi vanno avanti e indietro/fuori dalla tua finestra//picchia quella cosa/picchiala duro//fanne un combattimento da peso massimo/, ritrovò la voglia di amare ancora e di non perdersi nella geometria del rancore che nelle giornate d’estate può essere cancellata e ridisegnata con un verso che è sangue continuo che scorre sulle strade impervie del destino.