Di voce, locuzione, discorso, ecc., che si prestano a essere intesi in più modi: parole equivoche, una scritta equivoca; si riconosce da segni non equivoci, chiari, che non ammettono dubbî; anche di parole volutamente ambigue: parlare in modo equivoco, dare una risposta equivoca. (Dizionario Treccani)

L’equivoco è un salvagente. Non costa niente. Basta saperlo utilizzare. Nel gran casino della vita è il migliore antidoto per gli errori e le colpe. C’è chi ne fa uso sempre per confondere e ripianare situazioni imbarazzanti. Un’arte che fa uso della parola come uno scalpello per scolpire insane realtà.

Colui che è nato nell’equivoco, orfano di una data certa vivrà nel dubbio che l’equivoco sia in realtà l’unica verità che possa sostenerlo nell’incertezza. Meglio così! Sopraffare l’equivoco potrebbe significare danni, scoprire cose più brutte che belle.

Certamente l’equivoco è nemico della ragione, ne inficia l’essenza stessa, elaborando segmenti di disturbo e di manipolazione. Il rischio maggiore a cui è esposta è l’accomodamento alla visione e accettazione di una realtà distorta tanto da accettarne la veridicità o verosomiglianza senza la consapevolezza del dubbio e del ripensamento. L’equivoco domina e non ha mai cedimenti, irremovibile, aggiusta incomprensioni, elimina fastidiose interpretazioni favorendo un surrogato di verità soggettive destinate a diventare oggettive, incontrovertibili, ma soprattutto inequivocabili. Potranno anche non cambiare le cose, non daranno una svolta agli eventi, certamente condizioneranno idee e progetti alla vittima predesignata.

A volte potrebbe succedere che generi  momenti di ilarità, o al contario conclusioni anche drammatiche. Purtroppo l’equivoco è difficile da demolire nonostante la sua inconsistenza, che paradossalmente diventa la sua forza su cui fare leva per imprimere e imporre idee e valutazioni e fuorvianti considerazioni.

La commedia degli equivoci è una variazione dello schema consueto delle commedie latine. L’equivoco era un espediente utilizzato nel teatro greco e latino con la finalità di suscitare il riso dello spettatore. Uno degli esempi più comuni della commedia basata è quello provocato dallo scambio di persona: in tale situazione si trovano ad agire due personaggi, l’uno all’insaputa dell’atro.Ne sono un esempio le commedie di Plauto come i Menecmi e l’Amphitruo.

L’opera Menecmi scritta da Plauto verso la fine del III sec. a.C. narra la storia di due gemelli (Menecmo e Sosicle)  figli di un mercante siracusano. Quando erano fanciulli il loro padre decise di portarli con se a Taranto, dove Menecmo viene rapito da un mercante di Epidamno. Sosicle viene rinominato Menecmo in memoria del fratello scomparso. Questi da adulto si mette alla ricerca del fratello, fin quando giunto a Epidamno viene scambiato da tutti (moglie, amante, servo e suocero) per il suo gemello. Poi grazie all’intuizione dels ervo Messenione l’equivoco è smascherato e i due gemelli ritornano iniseme a Siracusa.

Oggi si accosta la comemdia degli equivoci a Molto rumore per nulla e La commedia degli errori di William Shakeaspere.

Ma il capolavoro degli equivoci è Miseria e Nobiltà, film del 1954 diretto da Mario Mattòli, tratto dall’omonima opera teatrale (1888) di Eduardo Scarpetta. Tra un frizzo e le battute comiche dei protagonisti sono intercalate pillole di saggezza: qual è la vera nobiltà? Quella del titolo nobiliare o quella dell’animo?

Triste è invece la storia di Giulietta e Romeo che per un tragico equivoco vanno incontro alla morte.

Che dire delle barzellette, appositamente costruite dall’equivoco e dal malinteso, tanto amate dagli italiani. I carabinieri sono i bersagli preferiti, ma l’immaginazione dei barzellettieri ha colpito tutti: preti, dottori, amanti, uomini e donne, tanto da rendere la barzelletta un classico della comicità.

L’equivoco è forse una necessità, un rito scaramantico e propiziatorio, una derivazione abnorme della verità, ed è  parente della menzogna.

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