Oggi, accantoniamo per un attimo il presente che ci domina con le sue incertezze e impellenti esigenze, e proviamo a comprendere il significato di una memoria che non deve essere intesa come semplice e banale liturgia di fatti accaduti tanto tempo fa, ma strumento per riscoprire le nostre identità al fine di evitare qualsiasi smarrimento.

Questa giornata non sia la celebrazione della retorica né un rituale noioso.

Dobbiamo essere consapevoli e convinti che non accada più quanto è già accaduto, condividendo e rispettando i valori universali.

Non vi è dubbio che una sovrabbondanza di comunicazioni induce a distaccarsi con freddezza dai fatti storici e vi è rischio che il valore della memoria si affievolisca nella banalità e nell’irrilevanza. C’è la necessità di interrogarci su nuove modalità e fini da realizzare per evitare il rischio di sterilizzazione della memoria che è diventata tra l’altro anche troppo istituzionalizzata. Né dobbiamo continuare a trasmettere un’immagine passiva degli ebrei, di mostrarli sotto l’aspetto delle vittime. La storia ebraica è anche cultura, elaborazione di civiltà, creatività.

Nuove domande incombono sul nostro presente: nuovi eccidi, nuovi razzismi, nuove persecuzioni sono quotidianamente perpetrati nei confronti di minoranze etniche e dissidenti politici. Si affermano nuove dittature avallate e protette da altri stati per convenienza economica, finanziaria e politica.

Il presente deve essere la lente d’ingrandimento degli errori e misfatti compiuti affinché ciò che oggi ci apprestiamo a ricordare sia essenzialmente derivato dalla conoscenza della storia, delle ingiustizie, del disegno lucido filosofico e nazionalista di cancellazione di un intero popolo dalla terra. Questo è il senso della Shoah.

La persecuzione subita dagli ebrei è indefinibile. Siamo chiamati tutti alla conoscenza. E se ancora oggi è difficile comprendere è necessario conoscere.

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