L’agnello pasquale è un dolce a base di mandorle tipico della tradizione salentina e siciliana. Per i salentini l’agnello è detto pecureddhru (piccola pecora). La tradizione comunque vuole che il giorno di Pasqua l’agnello sia di dolce e di carne. Non a caso in ebraico la Pasqua è chiamata pesah, che significa appunto agnello.
Da cosa nasce la tradizione di mangiare l’agnello a Pasqua? La risposta è corrispondente ad antiche tradizioni religiose. L’agnello è simbolo di sacrificio e di salvezza perché sinonimo di purezza e innocenza. Nella tradizione ebraica, il giorno di Pasqua si scarificava un agnello maschio e se ne mangiava la carne arrostita, con il sangue invece si contrassegnava le case per la salvezza del popolo ebraico. La Pasqua cristiana riprende la tradizione ebraica, ma con un significato diverso, non fa riferimento al sangue dell’agnello ma a quello di Gesù morto sulla croce. Infatti, nei Vangeli, Gesù viene chiamato Agnus Dei (Agnello di Dio). Ovviamente, mangiare l’agnello non è un obbligo e non c’è nessun testo della Chiesa cattolica che lo impone. Solo una tradizione che sopravvive nei secoli. Benedetto XVI, nell’omelia tenuta il 5 aprile 2007 in San Giovanni Laterano, affermò, riferendosi a Cristo: «Egli però ha celebrato la Pasqua con i suoi discepoli probabilmente secondo il calendario di Qumran, quindi almeno un giorno prima – l’ha celebrata senza agnello, come la comunità di Qumran, che non riconosceva il tempio di Erode ed era in attesa del nuovo tempio. Gesù dunque ha celebrato la Pasqua senza agnello – no, non senza agnello: in luogo dell’agnello ha donato se stesso, il suo corpo e il suo sangue».
Possiamo dire che la strage di agnellini che si perpetua il giorno di Pasqua è ormai lontana da ogni tradizione religiosa. La tradizione spesso non guarda alle sottigliezze e vive costantemente di aspetti folcloristici, inficiando in qualche modo il vero significato di un rito o di un simbolo, conservando però l’impostazione di sistema organico di regole e riti.
05/04/2023