Quando qualcuno riesce a segnalarsi per le sue qualità diventa quasi una necessità per coloro che lo invidiano parlarne male, quasi un dovere gettargli fango per alimentare sospetti sulla sua condotta. Sembra essere una delle attività dalle quali si trae maggiore godimento. C’è il bisogno di affondare il prossimo, giacché la comparazione delle inettitudini dei mediocri con i parametri di qualità di coloro che eccellono scatena risentimenti e rancori. In questo modo di essere gli italiani non sono secondi a nessuno; feriscono con crudeltà la dignità umana del malcapitato (reo di essere bravo) con noncuranza e cinismo.
Far male agli altri è una pratica condivisa. La cattiveria, in particolar modo la malignità è una discesa comoda, senza ostacoli, piacevole da percorrere; mentre l’ammirazione o comunque il dovuto riconoscimento alla bravura di qualcuno è una salita faticosa. Eppure solo chi sa ammirare si solleva dal proprio egoismo e dà merito alle sue virtù. Certo non bisogna confondere l’ammirazione con l’inclinazione del nostro tempo a creare personaggi fuorvianti dalla realtà e condizioni psicologiche di sudditanza. Le genuflessioni non servono. Il merito va riconosciuto senza ricorrere alle liturgie.
In questa epoca dei pugnali e delle spade, dei discorsi diffamatori, dei commenti azzardati non c’è l’utile esercizio all’ammirazione per coloro che la meritano e rappresentano luci di onestà. Rendersi, dunque, piccoli per essere partecipi di un assoluto di molteplicità di azioni, e non cadere nella trappola egocentrica del nostro Io.
Ammirazione giusta che non deve generare servitù né disperate euforie, ma soltanto un semplice e genuino riconoscimento.
L’insegnamento di Quintiliano
Per Quintiliano l’oratore ideale è un uomo onesto e abile nel parlare, e il tratto distintivo di questa arte consiste nella eloquenza, oratio, quanto nella ragione, ratio. Sotto questo aspetto egli giudica l’oratore l’unico uomo veramente completo, mentre il filosofo, al suo paragone, risulta inferiore (W. Boyd, Storia dell’educazione occidentale, Londra, 1921, trad. it. L. Picone, Roma, 1959, p. 86). Quintiliano è stato il precursore dell’Umanesimo dei secoli futuri. Difatti, nel suo Dictionnaire historique et critique, Pierre Bayle, scrisse che sarebbe auspicabile che chi desidera scrivere un libro considerasse e tenesse in considerazione l’opera di Quintiliano, ma ben più interessante appare il giudizio dell’insigne maestro Marchesi che considera l’opera Instituio Oratoria un compendio di norme etiche per non gravare la tecnica dell’oratoria di decorazioni inutili.
Più vario è il campo dell’encomio degli uomini. Infatti prima si fa una divisione del tempo, cioè di quello precedente alla persona lodata e di quello in cui egli è vissuto, e per quanto riguarda coloro che sono già deceduti , si accenna anche al tempo posteriore della loro morte. Prima di occuparsi del personaggio da lodare, si parlerà della sua patria, dei genitori e degli avi: a questo proposito duplice può essere lo svolgimento: sarà messo in luce o il fatto che il personaggio celebrato è stato pari alla nobile tradizione della sua famiglia, o il merito di aver dato lustro con le proprie imprese a una famiglia pur di umili origini. Intanto si alluderà, considerando il passato, ai presagi di grandezza tratti da responsi ed augùri. come si dice che sia accaduto del figlio di Teti, del quale gli oracoli avevano predetto che sarebbe stato più grande di suo padre. La lode in se stesso deve trovarne gli spunti dell’animo, nel corpo e negli elementi esterni. Naturalmente l’encomio degli attributi fisici e dei fatti dovuti al caso non avrà gran peso e dovrà essere svolto non secondo una formula fissa. Per esempio, noi lodiamo talvolta con le parole la bellezza e la forza, come fa Omero di Agamennone e di Achille, qualche altra l’ammirazione verso un personaggio è molto accresciuta dal fatto che egli sia non forte, come quando lo stesso poeta dice che Tideo era piccolo di corporatura, ma fortissimo combattente. La fortuna, invece, ora aggiunge dignità, come nel caso di re e prìncipi (questa materia è più ricca delle precedenti per mettere in mostra la virtù), ora, quanto minori furono i mezzi, tanto maggiore gloria procura alle nobili azioni. Però, tutti i beni che sono fuori di noi e che per caso sono toccati agli uomini, non sono motivo di encomio perché qualcuno li abbia avuti, ma perché ne ha fatto buon uso. Giacché ricchezza, potenza e favore popolare, procurando le massime possibilità nella direzione buona e nella cattiva, mettono infallibilmente alla prova il nostro carattere: infatti, per mezzo di questi vantaggi o lo miglioriamo o lo peggioriamo. […] La lode dell’animo è sempre veritiera […] Alle volte, infatti, si è dimostrato più bello farsi guidare dai gradi di età e dall’ordine delle imprese, sì che dei primi anni si lodasse il carattere, poi l’educazione, e infine l’insieme armonico delle azioni, cioè di fatti e detti; certe altre, dividere la lode secondo le virtù della fortezza, della giustizia, della temperanza e così via, attribuendo a ciascuna di essa il merito delle imprese che seguendo ciascuna siano state compiute (L’istituzione oratoria, L’encomio e il biasimo, libro III, [7,1], Marco Fabio Quintiliano).