Donna Prassede è un personaggio secondario del romanzo di Manzoni. Compare specialmente nei capitoli XXV e XVII, nel tentativo di aiutare Lucia a superare il trauma della prigionia da lei patita presso il castello dell’Innominato. Nobildonna milanese, moglie di don Ferrante. Il casato cui appartiene non viene detto da Manzoni.
Donna Prassede è una impicciona, superbamente convinta che il bene abita in lei e che può disporne a suo piacimento. Manzoni riporta i giudizi del popolo che nella sua semplicità si basava sulle apparenze: «Vecchia gentildonna molto inclinata a far del bene». Nel prosieguo poi ne dà un giudizio tagliente: «Mestiere certamente il più degno che l’uomo possa esercitare; ma che purtroppo può guastare, come tutti gli altri». Per il Manzoni quando ‘far il bene’ diventa una compulsione, alla stregua di un mestiere, si perde di vista il vero senso del bene, e donna Prassede presa da cotanta passione arriva a fare il contrario di ciò che vorrebbe, il male.
L’affondo dell’autore: «Per fare il bene, bisogna conoscerlo; e, al pari di ogni altra cosa, non possiamo conoscerlo che in mezzo alle nostre passioni, per mezzo de’ nostri giudizi, con le nostre idee; le quali bene spesso vanno come possono». Il monito è inequivocabile: il bene bisogna conoscerlo, non deve mai essere in coincidenza con i singoli propositi; nello specifico, Donna Prassede con il suo ‘far il bene’ si proponeva di raggiungere altri scopi. Infatti, la sua nobile missione sarebbe quella di raddrizzare il cervello e mettere sulla buona strada Lucia. Di Lucia pensava: «non che in fondo non le paresse una buona giovine; ma c’era molto da ridire: Quella testina bassa, col mento inchiodato sulla fontanella della gola, quel non rispondere, o rispondere secco secco, come per forza, potevano indicar verecondia; ma denotavano sicuramente caparbietà: non ci voleva molto a indovinare che quella testina aveva le sue idee». Nel suo proposito di far il bene, Donna Prassede parte da un’idea negativa di Lucia che le comporta una distorsione della realtà dei fatti, con conseguenziale agire non verso il bene ma verso il male. Difatti, è convinta che Lucia si sia messa su una brutta storia e non perde occasione per cercare di far dimenticare alla donna quel ‘partito sconveniente’ di Renzo.
È estremamente bigotta, convinta di dover fare del bene al prossimo solo per un puntiglio personale, per cui molto spesso interviene in faccende che non la riguardano combinando guai. È esibizionista: «Le accadeva, quindi, o di proporsi per bene far più di quel che avrebbe diritto» È altezzosa: «Una certa superiorità quasi innata». Presuntuosa: «Tra le poche idee ce n’erano molte storte». Impastata di pregiudizi: «Faceva spesso uno sbaglio grosso, che era di prender per cielo il suo cervello»
L’ultimo ironico sigillo al giudizio del Manzoni sulla mediocrità di questa donna: «Di donna Prassede, quando si dice ch’era morta, è detto tutto‘.
Manzoni è molto abile a dare un ritratto impietoso di Donna Prassede, prototipo della falsità, dell’ipocrisia e dell’immoralità. La caratterizza la vanità aristocratica, l’assenza di moderazione e un formalismo esteriore in aderenza ad una religione di facciata, non conosce la carità sincera. Ella si sente calata nei panni dei giusti e assume un atteggiamento ben lontano dal cuore. Il suo errore umano è di pensare di essere nel giusto, ma così non è, i suoi pregiudizi alterano la realtà e si discosta enormemente dalla Morale.
02/03/2023