Don Chisciotte mi pare d’essere lui, in questo pomeriggio incerto, inventandomi avvenimenti per sfuggire a quelli che mi incalzano.

Quale verbo posso adoperare per dispiegarmi negli antri del destino? Quanti libri e quante pagine sono ancora per me fonte di emozione? Non mi va di studiare la qualità degli avverbi o la proprietà degli aggettivi. Vorrei essere il genio guastatore della lingua per non capirci nulla. La verità è che non voglio più sopportare il peso di una lingua, che mi mortifica per una virgola, o per un punto e virgola, o addirittura per due maledetti punti. Fossi Saramago sarei già felice. Cosa ormai mi resta da scrivere? La follia incalza… e non sono Nietzsche che la sopportò per undici anni, Hölderlin per quaranta.

Troppi vocaboli intralciano la ragione e l’agire è difficoltoso, laconico, un paradiso dell’ebetudine.

Mi trastullo con Shakespeare per coltivare una frase d’amore che possa sconvolgere il lirismo. Ho necessità di demolirmi per ricostruirmi idioma, trasfigurandomi lingua crudele di un’opera incompleta tanto da patirne felicemente il destino.

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