Settembre mette a posto l’euforia estiva, ordina le nostre abitudini. Vedo il mio paese triste. Il campanile si storce, forse nell’estremo tentativo di addossarsi sul selciato della piazza per riposarsi della fatica dell’altezza, forse perché non vede le rondini né il cielo di una volta. È triste il mio paese. La chiesa appare disadorna, i santi ammutoliti, la Madonna è in cielo. L’incenso asperge fumi di indifferenza, gli scanni vuoti, le preghiere mute non si odono. La chiesa non è più una fabbrica sacra. Un palazzo gentilizio retrocede, le case si arricchiscono di grigio: non ci sono i colori di una volta.

Il paese è triste, settembre poi andrà, verrà ottobre, chissà…

Vedo donne minacciose, uomini incauti, bambini impazienti delle percosse della sorte. Eppure il mio paese si raccontava con gli occhi chiari e lucidi. Il palco mi pare pronto, gli attori e le attrici si compongono e sorridono. Ecco un luogo prende su di sé i caratteri un po’ solenni, e forse sacri dell’origine. La storia qualcuno la racconterà, forse un nano vestito di nero, forse una principessa di satana, forse un poeta forestiero.

Adesso il rumore è assordante, batte in aria le mani, diffonde il sapore acre della vendetta e dell’odio. Ahi, il mio paese è triste.

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