Queste parole sono un omaggio di grazie alla tua pazienza temperata negli anni, condizionata dall’amore, consolante per la semplicità delle tue attese. Mi è esempio il dolce tuo lume di ragione che studia tutte le cose e le leggi per cui si svolge la vita dell’uomo. A te devo l’acquisita attenzione del dettaglio della bellezza della pittura e delle forme del colore.
Nessuna cosa intenerisce e solleva l’anima quanto la dimostrazione d’amore che interrompe la lettura del dubbio e degli studi forzosi dei filosofi antipatici quando le pagine premono incessanti sul mio pensiero e inducono la fronte a sudare lavoro di ricerca.
Gli anni muoiono, dolcemente, affannosamente. Le primavere s’intravedono di rado e gli inverni accrescono tempo di solitudine, ma tutte le cose intorno rivelano cura del ricordo. Il grassetto della scrittura non è congeniale, meglio il tedioso ma birichino corsivo, che nelle grazie della poesia ha un senso ancora del mio incedere nei labirinti dello spirito.
Diamo ancora passi alla nostra voglia di vivere. Della luce garbata delle albe c’innamoriamo dell’intimità di un giorno che nell’accoglierci si rivela nel bagliore di qualche tempo ideale nella sua lucidezza infallibile che non è fuggito.
Ci abbandoniamo senza rimedio alcuno alle parole, ai loro intenti sprezzanti di illusione, ai loro tramonti galleggianti nell’aria accesa di luna.
Abbiamo bisogno degli occhi per cercare il luogo propizio al colloquio, dove gli specchi non mirano volti ed effetti di godimenti superflui.
Componiamo frasi. Udiamo canti e musiche remote nel riserbo cortese, quasi freddo, un po’ triste, di una invenzione di favola.
Amiamo i nostri fiori che, nella misteriosa ombra di un sole spavaldo, s’adornano di foglie fragili e odorose di cielo, durante la sosta del tempo alla sorgente della casualità per dissetarsi di contemplazione.
Abbiamo ancora un po’ di cose da fare, minuzie, non importanti per la moltitudine della gente, interessanti per gli invidiosi.