Dietro di noi c’è un mondo che vediamo a tratti o non vediamo affatto. Sono le certezze che ci distolgono dall’osservazione: camuffano le nostre fragilità correlandole con il sentimentalismo per edificare speranze fragili di destino. Viviamo per caso e chissà per quale ragione smettiamo di vivere. Quel mondo dietro di noi non è identico a quello che sta davanti a noi. Entrambi conducono a due vie diverse: il primo mondo è già dato e si acquisisce con l’esperienza, ma non sempre è del tutto definibile e definito, ha tracce di indeterminatezza, tuttavia è sondabile per certe cose, parrebbe condurre al passato; il secondo, invece, è imperscrutabile, sembrerebbe più lineare soltanto per la nostra sprovvedutezza, ma è misterioso, ci conduce alla morte in costanti di tempo che si realizzano nel cammino di ogni giorno. Di quest’ultimo il monito alla caducità ci è data attraverso i segni che la morte mette in campo per noi e per gli altri. Segni, preallarmi che ci mettono in guardia a non credere assolutamente di avere un controllo sulla nostra esistenza, anzi ci indicano di godere del poco e non molto che ci è dato avere, soprattutto mentre incombe il peggio. I preallarmi sono gli imprevisti, le traversie, le incombenze fastidiose dell’agire, che la mente non deve mai sottovalutare ma ingegnarsi a coglierli come moniti, avvisi ulteriori che necessitano di una diagnosi riflessiva e interiore, giacché ciò che si prepara in anticipo come semina è al contempo raccolto fecondo di saggezza e di sapienza che toglie di torno la delusione. Le gioie sono il risultato inaspettato di un momento, che si ficcano senza ragione nei frammenti di immediatezza di un evento grande o piccolo che sia per noi, e rappresentano la vera constatazione che non riusciremo mai a comprenderne la ragione, poiché se così non fosse non sarebbero più semplici gioie che illuminano la mente e il cuore bensì artifici sentimentali illusori, quindi incertezze spacciate per certezze, tramonti spacciati per albe, montagne considerate pianure, fiumi per stagni, cieli per soffitti. La gioia provoca il disastro dell’incertezza che però ha breve durata, in quanto tende alla sua propria morte al pari di ogni cosa animata. La morte è l’illusione della vita, che ci appare come una signora bellissima e affascinante fintantoché lo desidera, per poi trasformarsi in una vecchia imbruttita che toglie il respiro del corpo. La ragione ultima della sopravvenienza di tale conclusione e perché mai non si fermi non è dato saperlo.
Non serve soffocare l’idea di morte negli abissi remoti della ragione, emergerà a spaventare di più quando meno ce lo si aspetti, con violenza squarcerà le carni del sentimento e del corpo, non baderà a spendersi e a mettere angoscia, non basterà il pianto di mille legioni di angeli a fermarla, non serviranno preghiere, non avrà senso chiedersi nulla. Avrà senso abbandonarsi ad essa, accettarla con dignità, senza paura non sfidarla ma accontentarla, provare a dialogare, concederle l’onore della sua potenza e maestà. Essa appare non d’improvviso, ma lentamente con passo felpato, insensibile a calpestare le cose che trova intorno, si muove e non osserva, va sino alla fine del sentiero, là dove i cipressi alti attendono l’ultimo atto di vita, l’estremo abbandono al nulla e alla volontà della natura. Tutto si acquieterà e tutto riprenderà ad essere ciò che era prima, per la sua volontà di essere fine e inizio, scritta nella legge di non supremazia che nessun uomo può vantare, validata dall’eternità che se ne serve per interrompere il tempo dei superbi e degli stolti. La morte non sceglie a caso, non determina vendette, non scagiona gli infami ma non premia i giusti, decide quando l’ora è prossima, incomprensibile per gli uomini la sua decisione è tuttavia una decisione che sta in una ragione, in un suo modo di vedere e concepire la vita al contrario di come la pensiamo noi, ed è proprio questa la doglianza che abbiamo nei suoi confronti, la diversità di vedute che ci portano a considerare la nostra vita in maniera più utilitaristica rispetto alla morte. Una questione di punti di vista che non collimano, che si disgiungano sino a provocare imprecazioni e maledizioni: tutto qui.