Niente è la parola che ha più valore e significato. Quel niente che consuma i ricordi e il passato nel frullatore del ‘fare’, di ciò che si è voluto e di ciò che si è subito. E alla fine, niente. Basta prenderne consapevolezza con coraggio, senza dimenarsi nei tortuosi momenti di nostalgia. E non rimane niente da dire e da fare, da immaginare, da proporre. Cala la nebbia: ed è giusta cosa. Cadono gli occhi nell’oblio della fantasia; e quelle luci, che un tempo apparivano, si dileguano chissà dove. E allora niente ancora una volta. A riproporsi con inaudita forza è sempre il niente, nell’utilità della sua ineffabile utilità. Ci dimenticheremo e ci dimenticheranno per niente, per un nulla che conviene, che si accomoda nelle giuste pieghe del momento opportuno. Non ci assomiglieremo più e non avremo spazi di somiglianze di conforto. Avremo il niente a saziarci di improbabili speranze. C’è il covid a riempire di paure ogni momento della giornata; si susseguono statistiche e ‘proclami’, inviti alla vaccinazione, test rapidi e molecolari, green pass. Di tutto non rimane niente: le cose rimangono com’erano, anzi ogni domanda gettata verso il ponte della risposta è disattesa, bloccata dai sistemi burocratici. Alle domande essenziali si configura la forza della sussistenza del non domandare, come se un nuovo ‘diritto’ prepotentemente si fosse affermato a congelare sé stesso.
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