Che delizia! Giace mansueto nelle tue labbra, e mirarti è lode di tuono.
Ecco è apparso, nel suo splendore di fiamme e di dannazione, vagabondo nei flutti degli azzurri cieli. Al pari di un gentiluomo ha cravatta e scarpe, orologio del tempo inverso, occhi bruni, occhi di cenere. Sorride e ammalia, come un serpente contorce identità, sfinge antica. Roma è vinta? Fredda maestà di un regno-covo di dannati, salmodiante. Dante non ha il suo Virgilio, lo suo maestro. La Madonna del sorriso intercede presso l’Altissimo Potere per una danza macabra di poeti e barellieri. È apparso il due del triste mattino di un mese, a zampe all’aria come un cane, con il ventre globoso, claudicante, incerto ma certo nelle vanità. Sopra quella putredine di poesia batte il sole a picco, quasi volesse cuocerla a punto. Altri poeti contemplano lo sfacelo, rammaricati abbandonano il teatro dei parrucconi. Altri osano urlare: Poeti servi! Quante mosche sulla carcassa del poeta sfatto, informe e consunto. Teme adesso la gente che il cadavere possa ritornare, gonfio di un alito occulto di poesia. Irrompe una cagna bulgara, che con occhiate irose e ingorde saetta la scena del suo pasto. Dillo ora, o mio poeta, al verme che lo uncina, gridalo che è il demonio della poesia del purgatorio, delle grasse erbe del paradiso di Satana. Un poeta francese nel parapiglia:
Quante volte ho chiesto alla spada
che mi cavasse di prigionia
ma il veleno funesto della superbia
in soccorso alla mia vigliaccheria
ha spezzato la spada.