Ai miei pensieri non riservo privilegio di eredità – vadano raminghi nelle menti di coloro che non credono a nulla. Non è un guaio non piacere:  è un piacere sapere di non piacere a chi vorrebbe farsi piacente a tutti i costi – vezzo di schifo. Fuggo e v’ingiuro!

Cerco chi ha lavorato e chi sta troppo in giù. Mi dedico a chi capisce e non sbanda. Ho feste di morte, però. Mano da penna per onestà mi solleva dalla negligenza. Ho inghiottito inferni e respirato zolfo. Non ho suggerimenti di eternità: mi capita  di perdermi  nel tempo che non vuole esserlo – capisco di non stare al mondo. Gli incubi sono il tesoro che ho accumulato all’ombra dei salici piangenti e dei cipressi gobbi. Sono come l’acqua che non lotta con la montagna ma l’aggira per scorrere e allontanarsi più veloce dal pendio del destino.

Un’emozione la ricordo molto bene stando seduto sulle ginocchia della poesia. Muoio ogni qualvolta non sogno il silenzio di dio, ma non potrà uccidermi la gloria della ragione. Il cuore è ghiacciato di ematocrito, l’emoglobina corre dentro con la forza di un santo. I balordi non annusano il cielo azzurro, comprendono qualcosa di essa quando un lampo si squarcia e muore di luce di tempo. A chi non sono mai piaciuto canto il loro supplizio d’invidia.

Il pentimento mi sarà risparmiato. I giorni mi saranno colmi di tempo inutile dove la luce severa del cero arderà per compassione, sbirciando l’orologio cretino delle ore. Dell’oblio di ogni felicità ho la chiave della scienza. Vedo che lo spettacolo non è di bontà. Quanto errori! Eppure il carro degli angeli è in viaggio – moriranno di benedizione per non aver osato ostacolare la speranza. Il fardello è deposto, niente può più contenere di voi balordi.

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