La malattia è un business per i medici e per le case farmaceutiche. La persona che si ammala ancor prima di fare i conti con la propria malattia, deve farli con le parcelle degli specialisti. Un fiume di denaro che entra nelle tasche dei medici, per quanto possibile lavato con qualche goccia di candeggina presa a prestito dalla Speranza. Non conta lo stato d’animo dell’ammalato: le sue paure, il mondo inquieto che gli appare, le attese interminabili negli ospedali e negli studi medici privati. Il sistema è ormai così ben consolidato che i medici ti appioppano la malattia con nonchalance, liquidandoti con un sorriso cancerogeno, promettendoti che puoi salvarti o quanto meno allungare la tua vita con la chemioterapia. False promesse, attendibili per fatalismo, sconcertanti nella realtà. Nel terzo millennio ammalarsi è una gran bella storia di finanza per il commercio dei farmaci. L’uomo, o meglio, l’ammalato è tenuto a distanza, chiuso nei suoi castelli di incomprensioni, di angosce e di dolore. Schiavo di accertamenti e di terapie, di consulti medici, costruisce ogni giorno il proprio infermo nelle corsie degli ospedali o nella propria casa. Con il tempo diventa relitto umano, privato di ogni dignità, alla mercé dei medici e dei loro inconcludenti protocolli terapeutici.
Dov’è la misericordia? Non c’è! Guai a chiedere informazioni sulla cura o delucidazioni a medici e a personale sanitario in genere, non sanno, fanno finta di non sapere, fuggono, hanno altro da fare. Una visita medica specialistica è standardizzata al tempo massimo di dieci-quindici minuti, effettuata con superbia accademica. Nei maggior parte dei casi si conclude con una sfilza di esami diagnostici prescritti senza lasciar trapelare nulla in ordine alle possibili cause della malattia. Gli occhi dell’ammalato sprofondano nelle tenebre dell’angoscia. Nella solitudine della malattia si instillano flebili speranze e devastanti chemioterapiche. Lasciateci morire in pace.