I fatti più semplici  sottratti all’approfondimento dimostrerebbero, poi, colpa di negligenza. Un gesto, una parola, un sorriso, sono semplici avventure umane di ogni giorno, di cui non si coglie l’aspetto peculiare della ripetizione e del cerimoniale della vita.

Sopraffatti dalle articolazioni iperboliche del vivere a strappi non si riesce a comprendere il significato delle disattenzioni che si pongono nei confronti di se stessi e degli altri.

Si va per superficie, dimenticando di andare anche per profondità. Si dimenticano e si assottigliano, nel ritmo incalzante dell’agire, le cose conseguenziali al miglioramento della qualità dell’esistenza.

Si disfa la forma della materia che della parola è sostanza nelle nuove residenze della scrittura frivola. La prossimità dello spazio visibile di uno sguardo è lontana: i lineamenti di un paesaggio dell’alfabeto non è misurabile. Quel luogo dove qualcosa potrebbe nascere, da cui qualcosa potrebbe scaturire non si compone nei versi del poeta.

L‘aver luogo dell’atto poetico, soprattutto fra terra e cielo, in una congiunzione di necessaria e indispensabile disarmonia, vorrebbe una geografia della poesia, un altrove d’invenzione di parole: distanza approssimativa della poesia e del luogo che precede l’immaginazione per conseguire un oltre. 

L‘oltre è mondo che raccoglie la prima stesura dell opera, la ritrae senza ombre, con luce. Istigatore della vena, suscita sussulto nel poeta, è mezzo che conduce alla visibilità del venire in poesia in nuova geografia della parola che del suo luogo prescelto è rivelazione di qualche verità messa allo scoperto in un suo apparire di fulminea ispirazione.

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